Dopo oltre 5 anni è crolla il teorema del Pubblico Ministero Salvatore Vitello con una sentenza, quella della prima sezione del Tribunale di Roma.
La prima sezione del Tribunale Penale di Roma, presieduta dal dottor Piero De Crescenzo con a latere i dottori Cristiana Rotunno e Paolo Emilio de Simone, ha assolto Lania Salvatore, Ventura Germano, Russo Domenico, Longo Luigi, Piccolo Giovanni, Gelfusa Antonio, Ruzicka Libor, Minar Lumir, Kucera Radovan e Grafnetr Lumir dall’accusa di essersi costituiti in associazione a delinquere, operante, oltre che in Italia, anche in Cina, nel Vietnam, nella Repubblica Ceca, fino al febbraio 2009, con lo scopo ultimo di sdoganare presso il Porto di Gioia Tauro merce contraffatta (scarpe Nike), stoccarla a Roma per poi farla partire alla volta della Repubblica Ceca, proponendosi, l’ipotizzata associazione, alla commissione di ogni altro reato strumentale o prodromico ad essa.
Tutti gli imputati erano stati sottoposti a custodia cautelare in carcere su richiesta dell’allora sostituto procuratore della Repubblica dottor Salvatore Vitello ed hanno subito una lunga carcerazione preventiva durante la quale Giovanni Piccolo.
Il Tribunale di Roma, con sentenza motivata contestualmente, ha ritenuto che “la prova specifica della condotta associativa, avuto riguardo alla ipotizzata finalizzazione del sodalizio (ricettazione, contraffazione, introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi, contrabbando, emissioni di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti) avrebbe imposto la necessità di accertare la consapevolezza da parte di ciascuno degli accusati della natura dei beni fatti transitare per il porto di Gioia Tauro, ed in particolare che tali beni costituissero merce contraffatta. In difetto di tale prova non può escludersi che ciascun imputato cui non sia dato intestare la consapevolezza indicata agisse nella certezza di inserirsi in un contesto di attività lecita.
Luigi Longo, imprenditore ed editore del quotidiano online Approdonews, fu accusato di essere vicino alle cosche della ‘ndrangheta sulla base di ciò che a parere degli inquirenti sarebbe emerso dal procedimento “Cent’anni di Storia” quando invece fu solo testimone del P.M. contro le cosche che avevano tentato la scalata alla Cooperativa All Services.
Un errore gravissimo evidenziato dalla difesa del Longo, avvocati Antonino Napoli e Pasquale Gallo, che ha portato il Tribunale di Roma ad inviare gli atti alla locale Procura della Repubblica in quanto “gli esiti della perizia richiesta per trascrivere le intercettazioni anno mostrato sensibili divergenze, rilevate nel corso del dibattimento, tra il resoconto che delle medesime comunicazioni è stato fatto nella fase delle indagini e le risultanze peritali. Di tanto deve qui limitarsi a prendere atto il giudice tenuto a valutare l’attendibilità del complesso delle risultanze proposte dall’accusa a mezzo di prove dichiarative, rinviando ad altra e più idonea sede (da ciò la trasmissione degli atti all’ufficio del P.M. come da dispositivo) ogni possibile spiegazione della segnalata anomalia che è emersa, in particolare nel corso dell’esame dibattimentale e degli imputati Giovanni Piccolo e Luigi Longo, alle cui trascrizioni si rinvia”.
All’esito della requisitoria del Pubblico Ministero dott. Politi, che ha chiesto la condanna, e l’intervento dei difensori avvocati: Nico d’Ascola, Bruno Naso, Antonino Napoli, Pasquale Gallo, Pasquale Loiacono, Francesco Rotunno (in sostituzione dell’avvocato Alfredo Gaito), Giovanni Piccolo, Gregorio Ceravolo, Giulio Gasparro, Antonio Franzè, Boris Dubini e Mattia di Mattia il Tribunale, dopo circa un’ora di camera di consiglio ha assolto gli imputati dal reato loro ascritto perché il fatto non sussiste, dando immediata lettura della motivazione della sentenza.
Ora, passato il processo, che come un macigno ha lasciato macerie, bisogna ricostruire l’immagine compromessa degli imputati, ai quali non potrà essere restituita né la libertà della quale sono stati privati per un anno né l’operatività della MCS, messa in liquidazione, in quanto costretta a causa dell’operazione Rilancio a non poter più operare nel porto di Gioia Tauro e, conseguentemente, licenziare i 15 dipendenti.