LAMEZIA TERME (CZ) – La mattina si alza alle 4.30 per fare la terapia (aerosol e fisioterapia respiratoria). Alle 7 prende l’autobus e va a scuola. Al rientro, compiti, TV, musica, conversazioni con gli amici. Un’altra mezz’ora di terapia. Tappa in palestra (necessario, anche lo sport, per la salute). Cena, Tv, a dormire. È una delle storie raccolte dalla ricerca sul rapporto tra fibrosi cistica e adolescenti, LI.N.FA. (Laboratorio Interattivo sulla Fibrosi Cistica nell’Adolescenza). Il progetto è stato realizzato da Doxapharma, con il supporto di Abbott e il patrocinio di LIFC (Lega Nazionale Fibrosi Cistica) e SIFC (Società Italiana per lo studio della Fibrosi Cistica). Ieri, presso l’aula ‘Ferrante’ dell’ospedale di Lamezia Terme, sono stati presentati i risultati. Anche i pazienti calabresi, infatti, sono stati coinvolti nell’indagine. Il centro regionale fibrosi cistica, ubicato nello stesso ospedale, all’incontro ha invitato non solo adolescenti e famiglie, ma anche i genitori dei bambini più piccoli, nell’ottica di dialogare, ascoltare e coinvolgere quanto più possibile i pazienti e le loro famiglie. L’incontro si è trasformato in uno scambio di emozioni e vissuti, speranze e testimonianze di come normalità e fibrosi cistica convivano. Maria Furriolo, psicologa del centro, ha illustrato i risultati della ricerca nazionale. Giuseppe Tuccio, a quasi un anno dall’apertura del centro di Lamezia Terme, ha fatto un bilancio.
Il direttore del centro, nonostante le difficoltà connaturate all’avvio di una nuova struttura, si è detto contento dei risultati raggiunti. Il problema principale resta quello del personale. Gli infermieri sono 5, ma sono costretti a fare turni in più e straordinari: dovrebbe esserci almeno un altro infermiere, situazione ideale se fossero due in più. Le tre dottoresse fruiscono di una borsa di studio sempre appesa a un filo, ma non sono ancora stabilizzate. Il fisioterapista da mesi non viene pagato, perciò dal 1° marzo non può più lavorare. Se si vuole fare un investimento sul centro, quindi, è necessario stabilizzare questo personale per garantire la continuità delle cure, fatte anche di un rapporto affettivo medico-paziente, imprescindibile nelle malattie croniche come la fibrosi cistica. Il 10 marzo il centro riceverà la visita dell’ente certificatore Boureaux Veritas per l’accreditamento di qualità ISO EN 9001/15, a giugno quella dell’accreditamento tra pari delle LIFC. «Vogliamo essere certificati per la qualità erogata a livello dei migliori centri italiani», ha detto Giuseppe Tuccio.
La sala dell’incontro è gremita. Ci sono numerose persone arrivate da tutta la Calabria, da Reggio Calabria fino a Cosenza e Cassano. Ci sono le dottoresse, Elisa Madarena, Barbara Vonella e Rosa Fasano, che frequenteranno prestigiosi master a vantaggio di tutto il centro. C’è Pietro Ragno, il fisioterapista, figura fondamentale per i pazienti, che ha vinto un importante master (il migliore in Italia). C’è la caposala, ci sono gli infermieri e le infermiere, nonostante non siano di turno: anche loro ci mettono la passione e l’amore e anche a loro i pazienti sono grati per la vicinanza, le parole e i momenti di gioia che sanno donargli oltre alla professionalità.
La ricerca nazionale: fare le cure ogni giorno pesa – L’indagine sul rapporto tra adolescenza e fibrosi cistica è stata fatta a livello nazionale, ma i centri regionali hanno ricevuto l’incarico di presentare i risultati. A Lamezia Terme è toccato a Maria Furriolo. La psicologa ha precisato che il centro è contento di aver partecipato e di essersi messo in gioco. Ha, inoltre, rimarcato l’importanza di capire che, fin da piccoli, i pazienti di fibrosi cistica devono imparare a prendersi cura di sé: il loro benessere ne gioverà. «Il progetto LINFA – ha detto – ci ha insegnato che non dobbiamo perdere di vista gli adolescenti perché in questo periodo l’aderenza alla terapia cala».
Il progetto L.IN.FA ha coinvolto ragazzi e ragazze di età compresa tra i 13 e i 18 anni che, nel periodo dell’indagine, erano ricoverati o facevano i controlli nei loro centri di riferimento. Due le modalità in cui è stato articolato: la compilazione di un diario digitale in forma anonima mediante l’uso di un nickname e un questionario anonimo a domande chiuse. Valutare i fattori psicologici, clinici e relazionali che influenzano la qualità di vita di pazienti e famiglie, l’obiettivo dello studio.
Otto ragazze e tre ragazzi, tra i 14 e i 18 anni, hanno redatto il loro diario. Nel complesso, sono emerse vite normali di ragazzi che vogliono essere trattati come tutti gli altri, senza commiserazione e che desiderano sentirsi anche come «una mano che solleva gli altri». Lo sport è un’attività centrale che fa parte della cura, avvicina ai coetanei e aiuta a livello psicologico. Punti di riferimento e sostegno sono i genitori e le famiglie, anche se la loro preoccupazione si trasferisce ai figli che, in alcuni casi, la avvertono come un «peso». Fondamentale il rapporto con i medici ai quali gli adolescenti sono grati, affezionati e rispondono con la collaborazione reciproca. I medici non solo trovano le soluzioni, ma parlano con i
ragazzi e rappresentano sostegno, aiuto e difesa. Da loro i ragazzi si aspettano affetto, verità e chiarezza nelle spiegazioni e flessibilità rispetto alle loro esigenze.
Il questionario ha coinvolto 17 centri italiani per la cura della fibrosi cistica ed è stato somministrato a 168 ragazzi e ragazze di età compresa tra i 13 e i 18 anni e a 225 genitori (in alcuni casi entrambi i genitori, in altri un solo genitore). Pesante fare ogni giorno le terapie, come aerosol e fisioterapia respiratoria, che assorbono molto tempo e incidono sulle altre attività. Il 51 % si imbarazza o si vergogna a fare le terapie in pubblico. Il 33% ha difficoltà a trovare il tempo per seguire la terapia, il 25% si dimentica di seguire la terapia. Il 16 % è troppo stanco per sottoporsi alla terapia e il 25% vi preferisce gli amici.
Il 35% degli intervistati ha dichiarato di essersi sentito, nell’ultimo mese, mai o quasi mai pieno di energia, solo il 14% di essersi sentito spesso o molto spesso triste e depresso. In media praticano attività fisica tre giorni a settimana. Per 1 ragazzo su 4 il problema più grave è la scuola. Nel complesso, i ragazzi sentono di poter contare sui genitori e sugli amici. Ben l’81 % ha affermato di ricevere l’aiuto o il sostegno di cui ha bisogno dalla famiglia. Il 77% ha al suo fianco una persona speciale (“di conforto per me”), il 71 % ha degli amici con cui condividere gioie e dispiaceri.
Quanto ai genitori, sono per lo più loro ad occuparsi in modo esclusivo dei figli. In generale assistere i figli non pesa sulle attività quotidiane, ma ha delle conseguenze a livello lavorativo. Il 38% ha dovuto cambiare turno, il 15% ha subito delle penalizzazioni nella carriera, il 10% ha dovuto cambiare lavoro e in alcuni casi, solo il 4%, ha dovuto licenziarsi . In media i genitori hanno lavorato per 31 ore nel corso della settimana: l’80% delle assenze fatte sono imputabili alla salute del figlio
Le storie calabresi – Dopo la presentazione dei risultati, alcuni pazienti e alcuni genitori hanno condiviso esperienze e sensazioni nella generale commozione dei presenti. I pazienti ringraziano il personale e le famiglie. Ci tengono a lanciare un messaggio: per stare meglio è necessario fare le terapie ogni giorno e i genitori devono stare vicino ai figli ma senza opprimerli e impedirgli di vivere una vita piena e normale. Tutti sperano nella ricerca che deve essere assolutamente sostenuta perché ha migliorato condizioni e aspettative di vita e offre la possibilità di cercare una cura definitiva.
Ilaria conduce una vita normale tra cinema, discoteca e amici. Per l’incontro ha inviato un messaggio: la fibrosi cistica deve essere curata con attenzione, assiduità e pazienza. Il suo pensiero va alla sua mamma. «State vicino ai figli», esorta tutti i genitori.
Michela ha 32 anni e lavora per una grande banca (si occupa di attività finanziaria). La sua è stata un’adolescenza serena nonostante le difficoltà – ospedalizzazioni, cure, terapie. «La costanza è quella che premia, la nostra prima arma è di concentrarci su terapia e fisioterapia – ci spiega – in maniera molto serena con la mia famiglia abbiamo percorso sempre questa strada e abbiamo abbracciato questa malattia». Per Michela è normale alzarsi e fare la fisioterapia, rifarla all’ora di pranzo e la sera. Pratica molto sport e fa molti viaggi – nella valigia mette quello che serve per la fisioterapia e via.
Anche Francesca, 21 anni, ci tiene a precisare che la sua è una vita normale dove trova spazio anche il lavoro e il volontariato (da qualche mese fa parte di Assipromos). La mattina si alza alle 7 per fare la terapia ed essere al lavoro alle 8.30: si tratta solo di «ritagliare qualche spazio in più per le terapie e le cure». Non racconta a tutti della fibrosi cistica perché le dà fastidio essere trattata con commiserazione ed essere apostrofata con un «poverina!». Ma riserva la sua storia alle persone care, al fidanzato e alla sua famiglia. A 13 anni si sentiva demoralizzata, si spaventava per quello che leggeva su internet, ma poi ha capito che la malattia è soggettiva.
Giuseppe, cinquantenne, ha scoperto di avere la fibrosi cistica a 40 anni. In questo modo, fortuna nella sfortuna secondo lui, ha potuto adottare un figlio e fare un lavoro che, altrimenti, gli sarebbero stati preclusi. Da quando ha saputo della fibrosi, la sua vita è cambiata radicalmente. La moglie e il figlio sono il suo universo e la sua forza, cerca sempre di non farli preoccupare troppo. Ai ragazzi dice: «Diventeremo tutti vecchi. E’ importante abituarsi a fare le terapie, non bisogna commettere l’errore di non farle».
Tra i tanti interventi dei genitori, ha preso la parola anche Filippo, papà di Stefania che ora ha 21 anni. Insieme alla moglie ha sempre fatto fare tutte le cure alla bambina attraverso il gioco. Fin da piccola Stefania ha fatto le terapie in modo autonomo perché si abituasse a prendersi cura di sé. Per capire che «quello che fai, lo fai tu perché ti devi volere bene». I genitori la esortano a non vergognarsi, a prendere in pubblico le sue compresse. Ma arrivati all’adolescenza, anche se non tutti, ragazzi e ragazze tendono a mollare. Così Stefania arriva a voler mollare tutto, il nuoto gli amici. «Stefania si stava allontanando – racconta il papà – ci siamo messi a inseguirla e a farla tornare sui suoi passi». Stefania viene raggiunta. Riprende il nuoto. Decide di praticarlo a livello agonistico. Comincia con i 50 metri stile libero. Poi con i 100, i 200, i 400. Ma non si ferma: arrivano gli 800 e infine i 1500 – 72 vasche. Per un totale di 64 medaglie, la vittoria del titolo di campionessa regionale, le Olimpiadi sfiorate. Un esempio e una speranza per tutti.
Rita Paonessa