Processo Romano Marino: Richiesta la condanna del Primario

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TribunaleRomano Marino ha 13 anni quando viene ricoverato al seguito di una febbre molto alta che non accenna a placarsi, il 7.3.2010.  I medici, Domenico Sperlì, primario dell’Ospedale Annunziata di Cosenza, ed altri membri della sua equipe, “faticherebbero a riconoscere in lui, indici diagnostici evidenti e sufficienti della cosiddetta sindrome di Mas, o sindrome da attivazione macrofagica”. Questo, almeno, quanto asserito dall’ accusa. Dieci giorni più tardi, al seguito di un ricovero all’ Ospedale Bambin Gesù di Roma, la diagnosi corretta. Ma ormai è troppo tardi.

Tre arringhe per un’ udienza lunga tre ore, testimonianze, dati, documenti, prove e confutazioni per un processo lungo cinque anni che oggi si avvia alla conclusione della sentenza di primo grado. Tra il dolore di una madre che si appella a ricerche inascoltate, il silenzio di un padre che si affida alla giustizia delle Istituzioni e il rimbombo, ieri più che mai assordante, di due  agguerrite requisitorie, che si interrogano sulle motivazioni che avrebbero impedito ai medici dell’Ospedale di Cosenza di riconoscere una malattia “tanto rara quanto aggressiva, che, se presa in tempo, dona a chi ne è affetto la possibilità di completa guarigione” , arriva la richiesta del pm Bruno Tridico di condanna per l’imputato, ad un anno di reclusione.

Sull’ individuazione della malattia i cui sintomi, sempre secondo l’accusa, sembrerebbero riconosciuti dal protocollo internazionale, secondo il principio tempus regit actum, per la sindrome da attivazione macrofagica (MAS – HLH) in egual modo e misura a quelli di cui l’adolescente era affetto e sull’ errata cura della stessa, si sono basate le arringhe degli Avv.  Antonio Quintieri e Francesco Iacovino e del Pubblico Ministero  Bruno Tridico.

I mancati consulti da parte del personale medico di Cosenza con quello di Roma, l’assenza di comunicazione alla famiglia in merito ai provvedimenti adottati e da adottare, le numerose incongruenze riportate sulle cartelle cliniche che arriverebbero ad attestare esami sul paziente quando questi era già assente, le giustificazioni, definite “implausibili”, che avrebbero indotto a non indicare la corretta diagnosi e il motivo, ancora ameno, della mancata persistenza della somministrazione di cortisone, unico medicinale in grado di ridurre i sintomi febbrili durante il ricovero del ragazzo, le motivazioni che, secondo l’Accusa, dimostrerebbero che il decesso di Romano non sarebbe attribuibile alla comparsa della malattia, quanto al suo mancato riconoscimento.

“La paura non è una condanna del destino, né una condizione caratteriale. E’ il senso pavido della vita di chi non vuole cambiare o non vuole far mutare, migliorandole, le cose intorno a sé. Abbiamo bisogno della forza e della saggezza della Giustizia per trionfare sui ns timori, sui ns pregiudizi, su noi stessi. Dopo la “guerra” saremo tutti un po’ più liberi e un po’ più puliti. Abbiamo bisogno ora, che qui, oggi, si accenda una scintilla.”  Lunedì, 22giugno, le ragioni della Difesa e la sentenza definitiva, attesa, come sottolinea l’Avv. Iacovino, “scevra da pregiudizi ed istanze estranee al dibattito processuale”.

Lia Giannini

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