COSENZA – Scrittore, giornalista, direttore artistico del Festival del cinema di Roma, critico cinematografico. Antonio Monda, l’autore del libro “L’indegno”, presentato ieri al Teatro Rendano, è un “mondo” di esperienze, realtà, personalità e sentimenti, capaci di trascendere nella scrittura con grande fascino. Insegnante di cinema alla Tisch School of the Arts della New York University, città in cui vive da oltre vent’ anni e reduce dal Festival di Cannes, ha fatto tappa a Cosenza per presentare il suo ultimo libro, il terzo di una saga, ‹‹comprensibile, però, anche da chi non ha letto gli altri››, regalando attimi di cultura ad una città che, immersa a piene mani in campagna elettorale, si è mostrata affettuosa e affascinata dalla sua poliedrica figura tanto da rinunciare, per poche ore, anche ai colori politici.
Seduti tra le prime file, candidati di Mario Occhiuto e familiari di Enzo Paolini, ascoltavano rapiti i racconti di uomo che si annovera tra le schiere dei romani dalle origini cosentine aventi avuto grande successo. Legato alla città in quanto nipote di Riccardo Misasi, Monda dopo aver ricevuto il premio Mario Gallo, manifestazione cinematografica organizzata dalla cineteca della Calabria e sostenuta dal Ministero per i beni e le attività culturali, ha raccontato, attraverso la sua professionalità e gli aneddoti legati alla sua esperienza, i limiti del cinema italiano nella percezione americana. Protezionismo e scarsa originalità, sono i motivi per cui oggi l’esportazione cinematografica italiana non supera la percentuale dello 0,03%. Finiti gli anni dei grandi kolossal e delle pellicole piene di isole, sole, bambini che tanto appassionano, dell’Italia, il pubblico americano, restano solo i miracoli di quei registi come Sorrentino, capaci di raccontare un mondo di decadenza e frustrazione, attraverso la “bellezza”. A suo fianco nel dibattito, Pino Sassano, che con grande slancio ha sottolineato le differenze con i testi precedenti dello scrittore, dove la cornice newyorchese appare mastodontica e impositiva.
Nell’ “Indegno”, invece, l’esterno rimane sullo sfondo. Il testo è intimo, seppur immerso in una metropoli impossibile da ignorare, così come intime sono le difficoltà e i conflitti del protagonista, un prete ebreo, condannato tutta la vita alla lotta tra i suoi doveri di castità e la debolezza della carne. Incapace di rinunciare ad entrambe, arriva a vivere con profonda cognizione il peccato senza mai essere in grado, fino in fondo, di “uscire da sé stesso”. Un romanzo torbido, dichiaratamente sfacciato anche nel linguaggio esplicitamente erotico, come dichiara l’autore, i cui tormenti non si risolvono neanche sul finale.
A chi gli domanda la motivazione che lo avrebbe spinto verso tema del genere e se esiste, nella letteratura a cui dà sfogo, una forma autobiografica di creatività tanto quanto nel cinema, Antonio Monda risponde così: ‹‹Se lo sapessi avrei smesso di scrivere libri. Se ci sono degli elementi che accomunano il cinema alla scrittura sono senz’ altro intimità e universalità. Più scrivi di te stesso più parli al resto del mondo. Chiunque scriva, un romanzo come un film, non può fare a meno di svelarsi ››.
Lia Giannini