‘ndrangheta, pm Dda: «Usura “Bot” cosche». Arrestato il calciatore Modesto

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CATANZARO – Dai fasti del grande calcio  della serie A al carcere. Dietro la sigla Mod appuntata sul “libro mastro” dei clan di ‘ndrangheta di Cosenza si sarebbe celato il nome di Francesco Modesto, calciatore con trascorsi a Cosenza, Palermo, Ascoli, Reggina, Genoa, Bologna, Parma, Pescara, Padova e Crotone. Per i magistrati della Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro, che oggi lo hanno arrestato con l’accusa di usura aggravata dalle modalità mafiose, avrebbe avuto il ruolo di finanziatore dei prestiti usurai. Punto di contatto tra Modesto e le cosche di ‘ndrangheta cosentine sarebbe stato il suocero Luisiano Castiglia, detto “Mimmo”. Con loro in manette, nell’ambito dell’operazione “Laqueo”, condotta dal Ros dei carabinieri, sono finite altre 12 persone ritenute affiliate alle famiglie mafiose di Cosenza, i Lanzino-Cicero e i Rango-Zingari. A decifrare agli inquirenti il libro mastro è stato il collaboratore di giustizia Roberto Violetta Calabrese. E’ lui a raccontare ai magistrati un episodio del 2007 in cui per un prestito a un imprenditore sotto strozzo «la somma venne prelevata da un conto corrente acceso presso la banca popolare di Bari, filiale di Rende, intestato a Francesco Modesto. Tale  prestito venne elargito con interessi del 10% e la durata fu di 13 mesi». Secondo il pentito, Modesto «era consapevole che il denaro consegnato al suocero veniva impiegato in attività criminali e comunque usurarie». In passato, inoltre, il calciatore avrebbe usufruito di lavori edili gratuiti per la sua casa di Cosenza a parziale estinzione del debito usurario contratto da un imprenditore. Le parole del collaboratore sul giro di usura ed estorsioni hanno trovato poi riscontro nelle dichiarazioni delle vittime. Hanno raccontato anni di minacce e intimidazioni, svelando che al momento del prestito venivano subito informati che i soldi provenivano dalla “bacinella”, ossia la cassa comune delle cosche. Un mercato, quello dell’usura, strettamente collegato alla criminalità organizzata locale. Come ha spiegato il procuratore aggiunto di Catanzaro Vincenzo Luberto «l’usura sono i bot della ‘ndrangheta». Ma l’indagine di oggi, coordinata da Luberto e dal sostituto Pierpaolo Bruni, ha svelato anche un altro particolare inedito. I clan, per tentare di bloccare il percorso di collaborazione appena intrapreso da Roberto Violetta Calabrese, tentarono di uccidere il fratello. L’agguato è avvenuto il pomeriggio del 6 marzo 2013 negli stessi istanti in cui il collaboratore si trovava davanti ai magistrati della Dda per rendere dichiarazioni. La vittima designata, che si trovava dietro ai vetri del solarium di sua proprietà, era riuscito a sopravvivere buttandosi per terra. Un agguato, però, che sortì l’effetto opposto a quello sperato dalle cosche. Saputo quello che era avvenuto, Calabrese disse al pm: «Sono ancora più determinato nel mio proposito di collaborare con la giustizia».

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