COSENZA – L’autostrada Salerno-Reggio Calabria resta legata a Giacomo Mancini, ex segretario del Psi e ministro dei Lavori Pubblici. Il leader socialista diede l’impulso per l’avvio dei lavori e la realizzazione dell’opera. «Nel 1964 – ricorda il figlio Pietro – il governo di centrosinistra Moro-Nenni, con ai Lavori Pubblici un ministro calabrese, il socialista Giacomo Mancini, decise di finanziare la costruzione di un’autostrada, che collegasse il resto dell’Italia alla Calabria, regione fino a quel momento considerata “l’Isola nella Penisola” o “la terza Isola”, perché gli aspri rilievi montuosi non permettevano di raggiungerla facilmente. L’autostrada fu completata nel 1972 – ricorda – 8 anni dopo l’avvio dei lavori, benché il tracciato prevedesse un territorio, geologicamente, complesso – per la scelta, strategica, dei progettisti e non certo sulla base di indimostrabili esigenze “clientelari”- e dovette superare le catene montuose del Pollino e della Sila, per interrompere l’isolamento, va sottolineato, di molti comuni, calabresi e lucani. Per accelerare i lavori e impedire che l’autostrada si fermasse a Eboli, come Cristo nel libro di Carlo Levi – dice ancora il figlio Pietro – il ministro Mancini superò le resistenze burocratiche, licenziando l’allora potente direttore generale dell’Anas, Giuseppe Rinaldi. Una dimostrazione, concreta, che, quando esiste la volontà politica, il Mezzogiorno non è destinato, a causa del destino, cinico e baro, a restare un cimitero di opere incompiute o ad attendere lustri, per interminabili quanti sterili discussioni, prima di vedere lo sviluppo e la modernizzazione, grazie a importanti infrastrutture. Se i tanti successori di Mancini – spiega – non manifestarono le stesse capacità, nel fornire ai tecnici le indicazioni politiche più opportune, e l’autostrada, da miracolo di ingegneria – con imponenti viadotti, in primis il viadotto Italia – ed esempio di esecuzione in tempi brevi, si è trasformata in un disastro di incuria e di abbandono, sarebbe, forse, opportuno chiamare in causa le responsabilità e le omissioni dei ministri, succedutisi nei decenni, trascorsi dal lontano 1972, alla guida del dicastero di Porta Pia». Pietro Mancini rievoca anche la pagina dolorosa degli attacchi subiti da suo padre. «Giacomo Mancini – dice – anche per aver dimostrato, in quella come in altre vicende, grinta, decisionismo e volontà di non narrare ma di fare, fu bersaglio di accuse false e diffamatorie. Che vennero montate dalla stampa di estrema destra, come hanno documentato stimati storici, ed utilizzate, anche da alcuni suoi “compagni”, per danneggiare, politicamente, un leader molto scomodo e avversato dai “poteri forti” dell’epoca». L’opera fu avviata nel 1962 alla presenza dell’allora presidente del Consiglio Amintore Fanfani e completata nel 1974 con l’apertura al traffico degli ultimi tratti.