COSENZA – Dal cosentino al reggino, gli appalti pubblici finivano regolarmente nelle mani di un “cartello” di imprenditori sostenuti dalle cosche della ‘ndrangheta. Un meccanismo “perfetto”, come l’hanno definito gli inquirenti, ma che è stato ugualmente smantellato grazie alle indagini del Gico del Nucleo di polizia tributaria di Reggio Calabria e dal Nucleo di polizia tributaria di Cosenza della Guardia di finanza ed al coordinamento delle Procure antimafia di Reggio e Catanzaro. Si è giunti così al fermo di 35 persone, tra cui 27 imprenditori – alcuni molto noti nel panorama imprenditoriale calabrese – di un funzionario dell’Anas e di due tecnici del Comune di Gioia Tauro, con accuse pesantissime: associazione mafiosa, concorso esterno, turbata libertà degli incanti, frode nelle pubbliche forniture, corruzione e falso ideologico. Contestualmente i finanzieri hanno eseguito, tra Calabria, Lazio, Sicilia, Campania e Toscana, il sequestro di 54 imprese. Nel reggino, l’operazione “Cumbertazione” – termine dialettale utilizzato per indicare un’associazione “chiusa” – avrebbe evidenziato il diretto coinvolgimento del gruppo imprenditoriale Bagalà, che, secondo l’accusa, ha costituito e consolidato nel settore degli appalti pubblici una posizione di assoluto predominio sfruttando l’appartenenza alla cosca Piromalli e riuscendo a turbare almeno 27 gare per 90 milioni. Il modus operandi – posto in essere anche grazie a funzionari di stazioni appaltanti corrotti ed a professionisti collusi – avrebbe consentito di alterare il regolare svolgimento delle gare, con la costituzione di un cartello di oltre 60 società che, presentando offerte concordate in precedenza, è stato in grado di fare aggiudicare gli appalti all’impresa prescelta. Accanto al nucleo della famiglia Bagalà si sono collocate poi una serie di ditte compiacenti con sede in Calabria, Lazio, Sicilia, Campania e Toscana a cui venivano fatte presentare le offerte secondo importi che avrebbero automaticamente garantito ad una di esse l’aggiudicazione. L’accordo prevedeva anche che le stesse imprese si prestassero a partecipare fittiziamente alle gare per conto dell’organizzazione, ricevendo in cambio una percentuale che variava dal 2,5% al 5% sull’importo. Un sistema, come ha detto, intercettato, uno dei Bagalà, «per cui tutti sono contenti». E per non creare problemi, alle cosche “competenti” per territorio andava la tradizionale “tassa ambientale” del 3%. Nel cosentino, invece, una fitta rete di rapporti finanziari ed economici avrebbe legato il gruppo imprenditoriale Barbieri con i boss del clan “Muto” operante sulla costa dell’alto Tirreno, di quello cosentino Lanzino-Ruà-Patitucci e dei Piromalli. Grazie a questi intrecci, 10 aziende riconducibili allo stesso imprenditore sarebbero riuscite ad aggiudicarsi i più importanti appalti nella provincia di Cosenza nel triennio 2013/2015 per un valore di 100 milioni derivanti non solo dalla costruzione, ma anche dalla gestione venticinquennale (da qui il nome dell’operazione “cinque lustri”) dei servizi. Tra queste la riqualificazione di piazza Bilotti a Cosenza – inaugurata nelle scorse settimane – con un parcheggio interrato e gestione per 28 anni del parcheggio multipiano; una sciovia a Lorica e la riqualificazione dell’aviosuperficie di Scalea.