NAPOLI – In sede di Conferenza Unificata del 9 marzo scorso, è stato varato un contributo statale di 40 milioni di euro sul 2017 per finanziare e promuovere l’associazionismo intercomunale. ANCI ha manifestato grande soddisfazione: «Si tratta di una piccola cifra che tuttavia ci consente di riprendere, dopo anni di tagli, un percorso virtuoso sulle gestioni associate». Le risorse, in parte erogate attraverso le Regioni e in parte direttamente dal ministero dell’Interno, saranno distribuite secondo modalità da condividere tra Regioni ed enti locali. ASMEL ritiene questi soldi non spendibili e non sprecabili e propone di destinarli ai Comuni terremotati, per potenziarne la macchina organizzativa, consentendo loro di meglio incidere nel processo di ricostruzione. Sono anni che Anci insiste, a dispetto del comune buon senso, su questo presunto “percorso virtuoso”. Con il famigerato Decreto Calderoli, del maggio 2010, il Governo l’ha presa in parola cercando di imporre l’associazionismo coatto ai Comuni con meno di 5.000 abitanti, con il consenso unanime di tutte le forze politiche. Tanto che i Governi successivi, da Monti a Letta, da Renzi a Gentiloni, hanno puntualmente confermato la norma, pur con aggiustamenti, proroghe e clausole di commissariamento, ma senza risultati. Nel 2014, ANCI, ha alzato l’asticella, proponendo di azzerare i Comuni con meno di 15.000 abitanti, che pure rappresentano il 90% dei suoi associati. Oggi, addirittura, la principale Associazione dei Comuni nvoca le “aree vaste” per accorpare tutti i Comuni, senza distinzioni demografiche, raggruppando i Comuni in circa 1700 Unioni comunali. La nuova proposta lascia i Sindaci “liberi” di scegliere come e con chi accorparsi, ma prevede che scattino i poteri sostitutivi delle Regioni in caso di inadempienza (allegato 1). Con una popolazione coinvolta pari a circa 40 milioni di cittadini (le aree metropolitane, sono già accorpate sulla carta) ed una spesa pro capite annua nei municipi italiani di poco meno di mille euro, l’incentivo è pari circa all’1 per mille del bilancio di ogni singolo Comune. Nessuno si oppone, in linea di principio, all’associazionismo intercomunale. Meno che mai ASMEL che in questi anni ha “messo in rete” oltre 2.200 associati con servizi che spaziano dalla formazione continua alla consulenza, dal supporto nell’accesso ai finanziamenti pubblici e privati, alla digitalizzazione e semplificazione delle procedure e così via. Emblematico, al riguardo, il servizio di centralizzazione della committenza che, ad oltre quattro anni di ininterrotta attività, continua ad affermarsi in tutt’Italia. A dispetto dei lai della burocrazia romana, con ANCI e CONSIP in prima linea. A fronte di un calo verticale degli Appalti, la nostra Centrale registra invece un aumento incessante delle gare con un transato di oltre 1 miliardo di euro, grazie all’utilizzo diffuso dei sistemi telematici che rendono il servizio veloce ed efficiente e garantiscono tracciabilità e trasparenza, più di mille norme anticorruzione. ASMEL promuove da sempre l’associazionismo di servizi, cosa profondamente diversa dall’associazionismo di funzioni propugnato da ANCI e dai mandarini romani. Le funzioni rappresentano le potestà e le prerogative degli Enti. Non a caso, gli Amministratori Locali vengono eletti dal popolo sovrano che li investe di dette funzioni. Con l’Unione dei Comuni, viceversa, gli eletti cedono le loro potestà e prerogative ad Enti di secondo livello. Nulla quaestio se l’Unione si determina con volontà espressa dagli stessi eletti. Il problema si pone quando si pretende di calare dall’alto l’obbligo di accorpamento. Poco importa se si annacqua la norma concedendo di accorparsi con i Comuni contigui anche attraverso la Convenzione. È l’obbligo stesso a rappresentare una vera e propria bestemmia verso i principi di autonomia costituzionalmente garantiti. Perché mai un Comune deve essere costretto da una legge ad accorparsi con altri, solo perché contigui? La “messa in rete”, senza obblighi di contiguità, attraverso la telematica, ampiamente sperimentata ed affermata grazie all’azione di ASMEL, permette, invece, la diffusione dell’associazionismo di servizi, senza intaccare minimamente potestà e prerogative degli organi democraticamente eletti. Non a caso, ASMEL sostiene il principio di sussidiarietà, che garantisce e valorizza l’autonomia dei Soci sempre liberi di utilizzare o meno, in tutto o in parte, i servizi in rete. In più, l’esperienza ASMEL ha dimostrato che la rete telematica non richiede investimenti anzi riduce le spese e permette di modernizzare e qualificare gli apparati, supportandoli nella digitalizzazione, semplificazione e nella qualità dei servizi erogati. Attraverso la rete si raggiungono e gestiscono tutti i settori in cui si articola la macchina comunale: dall’anagrafe alla ragioneria, dai tributi alla polizia municipale, dall’ufficio tecnico alle attività produttive e così via. Addirittura, essa consente di supplire alle croniche e spesso insuperabili carenze di personale nei micro Comuni, a rischio di sopravvivenza, garantendo agli amministratori locali (che costano praticamente nulla) la gestione dei propri uffici con alta qualità e costi irrisori se non nulli. Va detto che i 40 milioni difficilmente potranno essere spesi nel 2017, perché la norma sull’accorpamento coatto, art. 14, co. 26-31, D.L. 78/2010 e s.m.i. è in attesa della pronuncia della Consulta dopo l’accoglimento del ricorso ASMEL che ne ha denunciato ben 9 lesioni dei principi sanciti nella nostra Carta costituzionale. Il TAR Lazio, infatti con Ordinanza del 20 gennaio 2016, ha definito rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale sottoposta ed ha ordinato l’immediata trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale. È improbabile che essa vorrà respingere tutte le 9 eccezioni di incostituzionalità accolte dal TAR. Il varo delle aree vaste, previste dalla legge Del Rio, per accorpare i Comuni ed assumere almeno in parte le funzioni delle (disciolte?) Province è al palo dopo il no del referendum che doveva cancellare queste ultime dalla Carta Costituzionale. Il Governo Gentiloni deve traguardare la fine ordinaria della Legislatura, il che mal si concilia con la necessità di trovare un accordo con Regioni ed Enti Locali su come spendere le risorse. Tanto più se rivolte a sostenere un presunto “percorso virtuoso” tanto caro all’apparato centrale ANCI, quanto respinto dai Comuni e dal buon senso. In definitiva, soldi da spendere per una causa sbagliata e comunque non in grado di incidere (1 per mille!) se pure si trattasse di una causa giusta. Comunque destinati a divenire una sopravvenienza attiva per il 2017. Perché non investirli in una causa condivisa da tutti, come l’aiuto ai Comuni terremotati? 40 milioni rappresentano una cifra irrisoria per la generalità dei Comuni italiani, ma se investiti nelle strutture amministrative dei Comuni terremotati sono in grado di assicurare la loro capacità di incidere nella governance del processo di ricostruzione.