Nicolò Pollari all’Unical: «La globalizzazione ha reso l’intelligence sempre più determinante»

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RENDE (CS) – “La globalizzazione ha reso l’intelligence sempre più determinante”. Così ha esordito il generale Nicoló Pollari, Direttore del SISMI dal 2001 al 2006, in occasione della sua lezione al Master in Intelligence dell’Università della Calabria, diretto da Mario Caligiuri.
Pollari ha poi continuato sottolineando che l’Intelligence è essenzialmente conoscenza e che una corretta ricognizione e valutazione di fatti e fenomeni è il miglior modo per avvicinarsi alla conoscenza del vero.
Come ricorda Karl Popper, infatti: “tutta la vita è risolvere problemi”. Naturalmente questo processo cognitivo richiede una serie di condizioni che, muovendo da una fase di identificazione del fabbisogno informativo e quindi di pianificazione e direzione procede con quelle di ricerca per l’acquisizione dell’informazione, notizia o dato che sia, di gestione dell’informazione attraverso l’analisi e l’elaborazione della medesima e infine di disseminazione all’Autorità competente di semplici informazioni, di rapporti, di analisi e punti di situazione, utili per le decisioni di assumere o per le attività da intraprendere.
Si tratta, evidentemente di un processo descrittivo, situazionale e speculativo gravido di innumerevoli inferenze, anche mentali, che normalmente perviene a configurare risultanze tendenzialmente probabilistiche. Il valore dell’intelligence risiede, infatti, nella capacità fornire informazioni e dati previsionali, accompagnati da un giudizio sulla relativa misura di affidabilità, del quale deve assumere responsabilità chi tali informazioni, dati e giudizi fornisce. Un siffatto contributo di conoscenza, reso in termini comprensibili, non può non influenzare in termini significativi le valutazioni e le scelte del decisore pubblico.
L’intelligence, quindi, di fronte all’imminenza di un pericolo o di unaconcreta minaccia all’interesse nazionale, può orientare priorità e direzione dei processi decisionali dell’Autorità, a tutela e presidio di tale interesse, rispetto a rischi di natura politica, militare, economica, finanziaria, energetica, sanitaria e altro.
A riguardo, Pollari ha ricordato che negli Stati Uniti d’America è costume che il responsabile della comunità intelligence pressoché quotidianamente sia ricevuto dal Presidente al fine di sottoporgli un numero di “casi” selezionati per importanza, delicatezza ed urgenza, rispetto ai quali è tenuto a esprimere il proprio giudizio, anche tecnico e probabilistico sulla qualità e sull’affidabilità di quanto ha riferito, nonché a formulare a quell’Autorità politica valutazioni e proposte sulle misure da adottare.
E’ agevole supporre che l’atteggiamento del responsabile dell’intelligence rispetto alle informazioni, alle valutazioni offerte, ai pareri da lui resi ed alle sue conseguenti proposte di azione, di norma possano orientare e talvolta, addirittura, condizionare scelte politiche.
In conseguenza di ciò è altrettanto agevole comprendere come il giudizio del Presidente sull’intelligence nazionale e su chi lo governa, dipenderà dalla percentuale statistica delle informazioni risultate aderenti al vero e dalla qualità delle valutazioni di intelligence operate, verificate alla luce di quanto in concreto, nella realtà, è poi avvenuto.
L’esposizione è, poi, proseguita con la trattazione di aspetti peculiari delle vicende di intelligence, come la natura e le peculiarità delle acquisizioni, la particolare posizione degli operatori, anche in funzione delle diversità degli ordinamenti di appartenenza, le carenze di estensione delle attività, la crescita esponenziale del bisogno di intelligence, specie negli ambiti della competizione economica e finanziaria, nonché la sorprendente, scarsissima informazione pubblica che caratterizza le scoperte energetiche degli anni 2000, specie nel Mediterraneo orientale.
Le modalità classiche delle acquisizioni di intelligence, com’è noto, avvengono per via umana o mediante l’utilizzo di tecnologie e delle conseguenti tecniche sempre più moderne e sofisticate. Ovviamente l’intelligence umana presenta intrinsecamente maggiori livelli di rischio, perché sconta il prezzo della fragilità della natura e della condizione dei singoli donne od uomini chiamati a svolgere le peculiari attività he la caratterizzano. Ed è forse per il poco equilibrato dosaggio fra utilizzo di intelligence umana rispetto a quella tecnologica una delle principali ragioni dei tragici fatti dell’11 settembre 2001. Quegli eventi non hanno certo cambiato il mondo, ma il mondo ha “dovuto” rendersi conto di essere cambiato, con l’urgente necessità di comprendere e valutare il grande mutamento epocale da cui era ormai investito. In quel clima, con l’accentuazione di ogni necessità di conoscenza, specie in prospettiva di prevenzione e tutela, oltre che di contrasto al terrorismo fondamentalista, pressoché tutti i Paesi del mondo hanno premuto l’acceleratore dell’utilizzo dell’intelligence quale punta avanzata di conoscenza e contrasto. E questi sopratutto nei Paesi, nei siti e negli ambienti più difficili, improbabili e pericolosi. Inoltre, analoga attenzione è stata rivolta all’interno di ciascun Paese, accentuando significativamente la domanda di intelligence, rafforzando o addirittura costituendo organismi deputati alla difesa. Si pensi, ad esempio, alla creazione di entità di homeland security in Paesi che, per antica tradizione e sensibilità sociale avevano ritenuto superfluo dotarsene.

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