Blitz “Basso Profilo”: talpe tra le forze dell’ordine e fatture false “nuovo oro” della criminalità

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CATANZARO – Nella maxi operazione “Basso profilo”, l’inchiesta della Dda di Catanzaro coordinata dal procuratore capo Nicola –  in cui sono coinvolti anche esponenti politici (tra cui l’assessore regionale Franco Talorico e il segretario nazionale Udc Lorenzo Cesa indagato), amministratori locali, imprenditori e professionisti – emergono nuovi particolari.

Secondo quanto riferisce la procura catanzarese, “il nuovo “oro” delle organizzazioni criminali sono le fatture per operazioni inesistenti, merce che oggi è assai ricercata e “trafficata” dalle organizzazioni criminali per i benefici che può determinare per gli imprenditori disonesti e per le aziende a gestione o funzionali della ‘ndrangheta”. L’attività di indagine ha consentito di accertare il prelevamento in contante di 22 milioni di euro, attraverso l’arruolamento da parte dell’organizzazione mafiosa di un folto numero di soggetti prelevatori, vere e proprie “scuderie” in un network complessivo di 159 società fruitrici di fatture per operazioni inesistenti e ben 86 società “cartiere” emittenti i documenti falsi. Sono state analizzate e interfacciate alle indagini anche276 segnalazioni di operazioni finanziarie sospette trasmesse dagli operatori finanziari.

I passaggi dalle aziende “filtro”

Il settore prediletto era quello dei servizi e fornitura di dispositivi di protezione individuale, mascherine, caschi, guanti ecc, a copertura del sistema fraudolento, costituendo, parallelamente, diverse aziende cartiere e “filtro” che si sono dedicate, stabilmente, all’attività di emissione fraudolenta di fatture per operazioni inesistenti. Allo stesso tempo, i membri dell’organizzazione coordinavano “un drappello di individui incaricati, con costanza e senza soluzione di continuità, di recuperare il denaro corrisposto dalle società beneficiarie della frode, prelevandolo in contanti presso i vari uffici postali dove erano stati accesi specifici conti correnti, retrocedere le somme decurtate del compenso illecito, redigere documentazione fiscale ed amministrativa fittizia nonché di “arruolare” nuove “teste di legno”. Durante il passaggio delle somme, da cartiera in cartiera, in taluni casi l’indicazione dell’Iva spariva perché veniva utilizzato l’espediente normativo. Venivano quindi inscenate come avvenute operazioni di commercializzazione mai realmente avvenute. Gli inquirenti parlano di aziende prive di sostanza economica, magazzini affittati ma sprovvisti di merce, e mezzi di trasporto che vi permanevano per simulare operazioni di scarico/carico. Nel corso delle indagini sono state trovate migliaia di documenti fiscali ed amministrativi falsi emessi ed annotati nelle scritture contabili, ai pagamenti realmente eseguiti, tranne, poi, prelevare il denaro e retrocederlo, decurtato del 11% dell’imponibile quale compenso per la costruzione e la gestione del sistema fraudolento.

La percentuale riconosciuta variava a seconda del cliente che richiedeva le fatture per operazioni inesistenti: quando l’impresa era riconducibile a soggetti della criminalità organizzata la percentuale scendeva dall’11% al 7% per acquisire la “captatio benevolentiae” del boss e continuare ad operare indisturbati verso altri imprenditori-clienti beneficiari di false fatture, alcuni dei quali acquisiti proprio grazie all’indicazione del boss all’ombra del quale si era operato.

Società intestate ad albanesi, indagato notaio

C’è il notaio catanzarese Rocco Guglielmo fra le persone indagate nell’ambito dell’operazione della Dda di Catanzaro “Basso profilo”. Il professionista è stato raggiunto dalla misura cautelare del divieto di dimora nel capoluogo calabrese e dal divieto di esercitare la professione di notaio per la durata di un anno. A lui i clan si sarebbero rivolti per concretizzare il passaggio di quote societarie a cittadini albanesi che, prelevati a Bari e provenienti da Durazzo sono stati ospitati a Catanzaro e dotati di codice fiscale italiano. Gli albanesi, intestatari fittizi di tante cartiere anche di nuova costituzione, sarebbero stati accompagnati dal notaio per apporre le firme sugli atti predisposti dal professionista senza i dovuti controlli dalla normativa antiriciclaggio.

Talpe fra le forze dell’ordine informavano clan

C’erano “talpe” tra le forze dell’ordine che permettevano ai componenti del cartello criminale sgominato dalla Dia e dalla Dda di Catanzaro di ottenere informazioni sulle operazioni di polizia. Una vera e propria rete di fonti e connivenze entro la quale spicca il ruolo di un luogotenente della Guardia di Finanza, oggi in pensione, raggiunto da una misura cautelare. Con la sua condotta, finalizzata ad ottenere uno stipendio fisso tramite l’assunzione del figlio in una società costituita ad hoc dall’imprenditore Antonio Gallo in Albania, forniva notizie sullo stato dell’indagine denominata “Borderland”, avvicinando i colleghi delegati alle indagini.

Il militare, secondo l’accusa, era a conoscenza dei legami di Gallo con la ‘ndrangheta. Un ruolo avrebbero avuto due politici catanzaresi, Tommaso Brutto e il figlio Saverio, l’uno consigliere di minoranza del Comune di Catanzaro, l’altro assessore del Comune di Simeri Crichi (Cz), i quali avrebbero messo il luogotenente in contatto con l’imprenditore delle cosche, attraverso promesse di “entrature” da realizzare con il contributo del segretario regionale dell’Udc, Franco Talarico, oggi assessore al bilancio della Regione Calabria che, a sua volta, avrebbe coinvolto politici nazionali.

Accertate 388.000 operazioni bancarie

“E’ stata un’indagine complessa, anche per i tanti ‘colletti bianchi coinvolti. Inoltre abbiamo documentato un volume di affari commerciali illeciti da circa 250 milioni di euro“. A dirlo il direttore della Direzione investigativa antimafia Maurizio Vallone, incontrando i giornalisti dopo l’operazione “Basso profilo”. Nel corso delle indagini, ha aggiunto Vallone, sono state fatte intercettazioni telefoniche e ambientali, con “266.500 dialoghi ascoltati e trascritti, sostenuti da contestuali indagini bancarie e accertamenti patrimoniali con 1.800 conti correnti esaminati e 388.000 operazioni bancarie ricostruite, per un giro d’affari di circa 250 milioni di euro. Accertamenti che hanno confermato la mole di dati riferiti dai collaboratori di giustizia e hanno permesso di confermare l’esistenza di un insieme di ‘locali e ‘ndrine distaccate e operanti nelle diverse Province calabresi nei territori di riferimento che corrispondono a Cirò Marina, Cutro, San Leonardo di Cutro, Isola di Capo Rizzuto, Roccabernarda, Mesoraca, Botricello, Sellia, Cropani, Catanzaro e Roccelletta di Borgia”. Il vice direttore delle operazioni della Dia Nicola Altiero, ha sottolineato come “l’anonimato della pletora di imprenditori incensurati coinvolti, per noi significa la mimetizzazione imprenditoriale. Nell’inchiesta sono emersi sia i mafiosi imprenditori, esponenti delle cosche dediti all’economia, ma anche imprenditori mafiosi”.

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