COSENZA – Il 25 novembre si celebra la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donna: una data simbolica per riflettere collettivamente sulla gravità del fenomeno. Tuttavia, a fronte di una maggiore consapevolezza della pubblica opinione, la situazione non è migliorata. Nella risposte istituzionali prevalgono approcci scorretti al problema della violenza maschile a causa di disinformazione, stereotipi e pregiudizi. I centri antiviolenza hanno fatto emergere la violenza contro le donne e chiedono da tempo che l’Italia si adegui alle direttive internazionali per sostenere efficacemente le donne che denunciano violenze, rispettandone l’autodeterminazione.
Nel 2012 sono state 15mila le donne accolte nei sessantacinque centri antiviolenza aderenti a D.i.Re, e i dati disponibili rilevano che nel 2013 i femminicidi sono stati 109 e 78 quelli tentati. Si tratta di dati non esaustivi, perché nel nostro Paese non c’è ancora un osservatorio nazionale sulla violenza maschile contro le donne.
Oggi una donna che desidera interrompere una relazione con un partner violento ha diritto di essere ascoltata da personale adeguatamente formato ed ha diritto di essere ospitata in strutture protette, sia che abbia figli o no.
Ma questi diritti – che sono sanciti nei trattati internazionali, dalla Convenzione di Istanbul e dalla Cedaw – non sono applicati pienamente in Italia perché manca un sistema strutturato di interventi che rispetti gli standard definiti a livello internazionale.
Le risposte da parte dei tribunali, delle forze dell’ordine e dei servizi sociali sono carenti e non coerenti fra loro. Mancano protocolli di intervento omogenei sul territorio nazionale. Mancano le strutture per ospitare le donne (500 posti letto a fronte dei 5700 che sarebbero necessari se si applicassero gli standard internazionali) e i centri antiviolenza non hanno finanziamenti pubblici certi. I fondi previsti nella legge sul femminicidio per far fronte al problema della violenza sono del tutto insufficienti.
Queste gravi lacune rendono difficile i percorsi di uscita dalla violenza familiare e causano la vittimizzazione secondaria delle donne che vogliono separarsi da partner violenti.
Permane una cultura che mira alla conservazione ad ogni costo del legame familiare anche se è violento e distruttivo.
L’affido condiviso e il ricorso alla mediazione familiare non sono ancora esclusi dalle separazioni dove ci sono forme di violenza, e molte donne restano in contatto con gli ex partner violenti.
Ribadiamo l’invito al Governo affinché sia rinnovato il Piano Nazionale antiviolenza, lo strumento principale per definire in modo coerente l’insieme delle politiche di intervento sul problema della violenza contro le donne. Che ai buoni propositi facciano seguito politiche efficaci.
La violenza contro le donne non è uno slogan!