Una persona non muore realmente fino a quando il suo ricordo, la sua storia, la sua essenza, rimangono vividi nella memoria di qualcuno.
Alla scomparsa di Nelson Mandela, leader della rivolta contro l’apartheid, prigioniero politico per ben 27 anni e figura dal carisma inquantificabile, di cui tutto il mondo parla in questi giorni, ci si interroga su quale possa essere la migliore chiave di lettura della sua vicenda, quale forma d’arte abbia dato la piena resa di quello che più che essere un uomo incarna un ideale odiernamente quantomai utopico.
Il premio nobel per la pace ha ispirato diverse forme d’arte, dalla musica al cinema, ma è proprio quest’ultimo a mio parere ad averci regalato e a continuare a regalarci pellicole vibranti su colui che è riuscito ad abbattere un muro privo di spessore fisico alcuno, una parete ideologica, radicata nella convinzione che la differenza sia più discriminante del fare la differenza.
Diversi attori di differenti etnie e formazioni hanno portato sul grande schermo il presidente sudafricano, Sidney Poitier (Mandela and the Klerk), Dennis Haysbert (Il colore della libertà), David Harewood (Mrs.Mandela),Terrence Howard (Winnie) e Idris Elba nel nuovissimo e ancora non visionabile in Italia “Mandela:Long Walk to Freedom”, tratto dalla sua autobiografia e di cui pare avesse già visionato alcune scene.
Tuttavia, mi sento di tenere per ultima e ricordare con particolare potenza l’immensa interpretazione di Morgan Freeman,scelto come attore da Mandela stesso in “Invictus” di Clint Eastwood.
Freeman ha infatti incarnato al meglio quell’assurdo dualismo di cui sono infarciti personaggi come il leader sudafricano, la compassione imperturbabile di chi è invitto in quanto ama, di chi non ha paura perchè sa perdonare persino lo stesso popolo che gli ha negato quasi un trentennio di libertà; di chi come ci ricorda la pellicola “È padrone del proprio destino, capitano della propria anima”.
Pasquale Severino