Crisi delle clementine, in tilt l’economia di interi territori

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«La crisi delle clementine in Calabria è veramente terribile e dura, con prezzi pagati agli agricoltori in moltissimi casi inferiori ai loro costi di produzione e questo manda in tilt l’economia di interi territori e delle famiglie con gravi ripercussioni. Una situazione oltreché pericolosa – sostiene Pietro Molinaro, presidente di Coldiretti Calabria – che sta già pregiudicando il futuro di molti clementicoltori e che ci può fare perdere significative quote di mercato a vantaggio di altri. Dobbiamo assolutamente fare il salto di qualità non possiamo pensare che i contentini degli aiuti straordinari o eccezionali sono la panacea di tutti i mali, in realtà – afferma – sono invece “pannicelli caldi” o come qualcuno afferma un ombrello dato a chi è senza casa. Il ritiro di mercato non può essere la soluzione creerebbe illusioni la recente misura, ha consentito già il ritiro nella sola Calabria del 50% del prodotto. Questo molto spesso non ci consente il passo successivo che è indispensabile: la disamina critica dei modelli organizzativi, di produzione e di collocazione sul mercato. È comunque palese che la crisi nel settore ortofrutticolo ha cominciato a mostrare tutta la sua virulenza già da questa estate con la crisi della frutta estiva dovuta al clima, all’embargo russo e comunque ad un accentuato calo dei consumi. E allora da dove possiamo ripartire? Il nostro punto di forza è il marchio IGP “Clementine di Calabria”, ogni omologazione in basso per compiacere qualcuno, magari la grande distribuzione organizzata (che tra l’atro ha avuto nel comparto un calo delle vendite di circa il 22%), con clementine “smarchiate” e quindi indistinte, rappresenta uno degli anelli deboli e lo “scandalo per eccellenza” che compromette qualità e competitività a vantaggio di altri» A supporto Molinaro cita alcuni dati: «La nostra regione produce il 60% della produzione italiana di clementine ed ancora una percentuale troppo alta di clementine anonime viene immessa sul mercato e questo evidentemente non aiuta quel carattere profondamente distintivo di una linea varietale dalla marcata identità italiana. Ma c’è di più e l’analisi è più incisiva. Ogni tanto – continua – una sana autocritica fa bene come ad esempio l’utilizzo delle risorse provenienti dai Piani Operativi appannaggio delle strutture associative e della cooperazione, che sono trattenuti direttamente alla fonte è arrivata l’ora che vengano rimodulati secondo le nuove esigenze e questo è un obbligo per le strutture associative. Altra linea che va raddrizzata deve assolutamente essere l’organizzazione commerciale. Ogni Organizzazione di Produttori (OP) o cooperative hanno un proprio ufficio commerciale e nella commercializzazione – attesta – si presentano evidentemente in ordine sparso permettendo quindi agli acquirenti di dettare le regole del gioco e sostanzialmente di fare contratti capestro. Una situazione – continua – che merita sicuramente attenzione dove, in questo caso si, la regione può svolgere un ruolo decisivo. E poi è evidente che nella cooperazione gli agricoltori devono diventare protagonisti essere arbitri e artefici del loro futuro e non essere considerati semplici fornitori o conferitori di prodotto delegando, evidentemente ad altri, ruoli e responsabilità che si è visto non sono in grado di esercitare poiché mantengono piedi in troppe staffe. I tempi sono maturi per delineare, in un autentico gioco di squadra con le Istituzioni, il necessario cambiamento e quindi la nuova strategia, possiamo sgombrare il campo da troppe anomalie che sono ormai un peso insopportabile per il reddito degli agricoltori. Il PSR 2014-2020 è evidente che deve dedicare risorse e attenzione a questo comparto e comunque la madre delle battaglie – conclude – è l’origine del prodotto la difesa dell’italianità: questa è la chiave del successo».

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