COSENZA – Pochi ma chiari elementi quelli analizzati nel corso dell’incontro “Straniero chi? L’Italia sono anch’io. Seconde generazioni: il volto dell’Italia che c’è e che verrà” tenutosi presso il Teatro dell’Acquario in preparazione di InMensamente… Fiera.
Cittadinanza la parola maggiormente declinata da Anna Maria Donnarumma, presidente della Ong Pro.DO.C.S, che ha focalizzato il suo intervento principalmente sugli aspetti giuridici e di principio che accompagnano o dovrebbero accompagnare l’utilizzo di tale concetto.
Riferimento d’obbligo la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, Carta nata sull’onda dell’indignazione per le atrocità dei conflitti mondiali, scaturita da un lungo periodo di confronto e dibattito tra le nazioni. Principi inderogabili e inalienabili ripresi in seguito da molte Costituzioni nazionali. Principi in capo a qualsiasi essere umano, di cui troppo spesso ci si dimentica. È il caso, ad esempio, degli articoli 13 e 15 secondo cui ogni individuo ha diritto alla libertà di movimento e di residenza entro i confini di ogni Stato; ogni individuo ha diritto di lasciare qualsiasi Paese, incluso il proprio, e di ritornare nel proprio Paese; ogni individuo ha diritto ad una cittadinanza.
Dall’assunto che ogni persona è portatrice di diritti, discende automaticamente che ogni persona è cittadino, a prescindere dalla specificità nazionale di nascita e di appartenenza. E se ogni persona è cittadino, non esiste più straniero.
Affermazioni che sembrano utopie, parole che disegnano visioni, se non fossero accompagnate da precisi riferimenti normativi. Il buon diritto dunque esiste, il problema risiede semmai nella sua mancata applicazione. Una responsabilità pesante dello Stato – e degli Stati – che apre strade facili alla paura, al razzismo, alla xenofobia. La responsabilità di una politica che non si muove più a servizio dei cittadini e del bene comune, seguendo logiche di dialogo e pacifica convivenza, ma che si piega al mercato e al gioco sporco degli interessi. Una responsabilità che investe anche l’ambito culturale che tende ad assuefarsi ad un pensiero dominante distorto e fautore di disparità.
I fenomeni migratori hanno sempre accompagnato lo sviluppo delle civiltà e delle popolazioni, fin dai tempi della preistoria. La Dichiarazione Universale stessa sancisce, tra gli altri, il diritto alla libertà di movimento. Perché allora oggi fa così paura? Perché ci sono cittadini di serie A che possono spostarsi tranquillamente e altri invece di serie B che nel viaggio spesso trovano la morte?
L’accoglienza diventa l’antidoto alla paura e alla violenza. Superando le soluzioni dettate dall’emotività del momento e di natura puramente soggettiva, le risposte si rintracciano negli stessi strumenti giuridici: la cittadinanza di residenza ad esempio potrebbe essere una efficace dispositivo per l’integrazione e la coesione sociale.
Una convivenza possibile che, a pensarci bene, è già realtà: il multiculturalismo è la fotografia delle nostre città. E le nuove generazioni sono l’espressione migliore della ricchezza che può scaturire dalla contaminazione. Appartenenze diverse, ma non altre.
Mariacristiana Guglielmelli