Covid, Magorno in Senato: «Situazione drammatica a Cosenza, fare presto per evitare catastrofe»

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Magorno

ROMA – «Signor Presidente, colleghi senatori, la situazione pandemica in Calabria, soprattutto nella provincia di Cosenza, peggiora di giorno in giorno, con un crescente aumento di contagi e di decessi: difficoltà nel contenimento e tracciamento del virus, strutture sanitarie ormai sature e al collasso, ricoveri bloccati, pazienti in fila al pronto soccorso, ambulanze in coda per ore davanti all’Annunziata di Cosenza, malati che purtroppo vi muoiono dentro in attesa di essere ricoverati, personale stremato, chiamato a turni di lavoro massacranti, campagna vaccinale confusa e approssimata, che procede a rilento, obbligando anziani e fragili, affetti da gravi patologie, ad affrontare per la prima dose di vaccino dei veri e propri viaggi della speranza a centinaia di chilometri di distanza». Così il senatore Ernesto Magorno intervenendo nell’aula del Senato.

«Le ataviche criticità della sanità calabrese – ha aggiunto Magorno -,unite alla fallimentare gestione commissariale, che va chiusa definitivamente, rendono l’attuale situazione epidemiologica ancora più preoccupante, in questa Regione da sempre in emergenza e che, come era prevedibile, subisce l’urto della nuova ondata del virus, impreparata e inadeguata sotto ogni aspetto.

È giunto il tempo di archiviare questa deleteria pagina di espropriazione dei diritti, autonomia e potere e di dare risposte calabresi. La sanità torni ai calabresi: stralciando il debito in capo allo Stato, avviando subito una riorganizzazione complessiva della rete ospedaliera, con la riapertura dei presidi chiusi, con l’assunzione di più personale, con tutti i provvedimenti finalizzati a fermare l’emigrazione sanitaria.
I sindaci, che accogliendo l’appello del sindaco di Cosenza, il 17 si ritroveranno davanti al pronto soccorso dell’ospedale civile di Cosenza, restano gli unici e soli avamposti dello Stato, a maggior ragione in una Regione già in ginocchio economicamente e socialmente di suo, in affanno nell’ordinarietà, figuriamoci nella straordinarietà di una pandemia dalle proporzioni di quella che stiamo vivendo».

 

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