COSENZA – «Stamattina, in occasione della “festa” delle donne, abbiamo deciso di far svegliare il centro della nostra città vetrina con due azioni. Le fontane di via Arabia sono diventate rosse come il sangue delle donne uccise per quello che, troppo spesso, è stato definito “amore”» Questo quanto si legge in un comunicato di un gruppo di cittadine dell’area urbana.
«La morte di una donna – si legge poi – per mano del compagno, marito, ecc non fa neppure più scalpore. In Italia dal 2000 ad oggi sono 3000 le donne vittime di femminicidio e in tre casi su quattro l’assassino era il loro partner. Non si può più restare silenti davanti a ciò che viene condannato in teoria, ma di cui a volte sono colpevolizzate le donne stesse. Nelle scuole e nelle università le tematiche di genere non vengono mai trattate, dai commissariati alle aule dei tribunali subiamo l’umiliazione di essere continuamente messe in discussione e di non essere credute, burocrazia e tempi d’attesa ci fanno pentire di aver denunciato e spesso ci uccidono, è altissima la percentuale delle donne uccise dopo aver denunciato le violenze ed essere state ignorate dalle istituzioni. Il femminicidio è violenza di Stato, violenza di uno Stato neoliberista impregnato di una cultura maschilista, uno stato patriarcale omertoso rispetto all’autodeterminazione e la libertà della donna, a favore di un potere e dominio della figura dell’uomo virile. Il femminicidio non è raptus omicida, né fatalità, è la violenza di genere insediata nella forma mentis patriarcale ad uccidere. È la conseguenza più drammatica di tutte le forme di discriminazione, che annientano la donna nella sua identità. Il secondo “regalo” che abbiamo fatto alla città sono le frasi in piazza Bilotti. Pensieri di donne che denunciano ciò che siamo costrette a vivere ogni giorno, frasi per gli uomini con cui siamo a contatto e per la società che rende queste discriminazioni possibili. Pensiamo che il primo passo per un’accurata riflessione sia la denuncia di ciò che viviamo per giungere all’abbattimento dello stato presente delle cose. Abbiamo il dovere morale di denunciare e combattere tutti i giorni la discriminazione di genere radicata nella società maschilista e patriarcale che proviene dai dettami del capitalismo.
Ci vogliono sottomesse e sfruttate, ci vogliono carne da macello per pubblicità di intimo e soggetti da difendere nelle campagne elettorali.
Questi brevi messaggi parlano di donne, del nostro ruolo all’interno della famiglia, camminando per strada, al lavoro, in qualsiasi contesto.
Oggi vogliamo dimostrate che il femminismo non ha raggiunto tutti i suoi obiettivi e che siamo pronte all’azione. Oggi abbiamo lanciato una lotta che non promettiamo breve ed una sfida al prodotto vivo di questa società malata.
L’8 è solo l’inizio, da semplice festa deve diventare anche un giorno per riflettere, per ricomporre una storia di genere, per arrivare ad analizzare i problemi che ogni giorno siamo costrette a vivere e per urlare ancora più forte che siamo pronte a riprenderci ciò che ci viene negato»