Festival della Cucina Kosher in Calabria: il simbolismo dei piatti ebraici nella lectio del Rabbino Maggiore Piperno

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COSENZA – Una vera e propria lectio sul simbolismo delle pietanze della tradizione ebraica e delle festività. E’ quella che ha tenuto questa mattina, nella sala capitolare del Chiostro di San Domenico, il Rabbino Maggiore Umberto Piperno, referente della Comunità Ebraica di Merano e Rabbino della Sinagoga Bet Shalom di Roma, intervenuto anche alla giornata conclusiva del Festival della Cucina Kosher in Calabria. La manifestazione è stata promossa dall’Associazione di promozione culturale “Kosmoikìa”, di cui è Presidente Maria Francesca Amantea, in collaborazione con la Maccaroni chef Academy, e con il patrocinio della Regione Calabria, dell’Assessorato alla crescita economica urbana e attività economiche e produttive di Palazzo dei Bruzi, guidato da Loredana Pastore, dell’Accademia Internazionale Dieta Mediterranea di Nicotera e dell’Accademia Internazionale del Cedro. 

Prima del suo intervento, il Rabbino Maggiore Umberto Piperno, accompagnato dalla signora Amalia Kramer,  ha passato in rassegna le materie prime e tutti gli utensili da cucina impiegati nella  preparazione dei piatti della tradizione ebraica, a cura degli chef della “Maccaroni Chef Academy” di Corrado Rossi, coadiuvati dai ragazzi dell’Associazione “Gli altri siamo noi”.

Un controllo di qualità ritenuto fondamentale, considerata la ritualità seguita nella realizzazione dei piatti, sotto il profilo squisitamente alimentare, finalizzato ad esaltare i valori nutrizionali e i benefici di un’alimentazione c.d. “pura” che nella due giorni del Festival è stata messa a confronto con la dieta mediterranea. Obiettivo del Festival era, infatti, quello di  aprire un focus sulle tradizioni ebraiche in materia gastronomica e su principi, tecniche e modalità di esecuzione dei piatti della cucina Kosher, senza disdegnare accostamenti e similitudini con la cucina calabrese e locale, nella quale, pur non abbondando regole religiose di stretta osservanza come quella kosher, sono comunque presenti, soprattutto nella tavola imbandita delle festività, rimandi al simbolismo.

«Siamo molto soddisfatti di aver ospitato a Cosenza il primo Festival della cucina Kosher in Calabria – ha commentato l’Assessore alle attività economiche e produttive Loredana Pastore. Un’iniziativa – ha aggiunto – che ci ha consentito di entrare in connessione con la cultura e con i rituali a tavola del popolo ebraico, sulla scorta delle tracce della presenza di una comunità radicata storicamente in diverse aree della Calabria ed anche a Cosenza dove, nel centro storico, era anticamente presente un quartiere ebraico, il Cafarone. Sono certa che quella di quest’anno è stata la prima edizione di una serie di lunghe e importanti forme di collaborazione che il Comune di Cosenza continuerà a sviluppare, come è già accaduto in altre occasioni, con la comunità ebraica».

Di particolare spessore la lectio del Rabbino Maggiore Piperno che ha abbracciato diversi aspetti del simbolismo che pervade la cultura del cibo nella tavola kosher: dalla santificazione del vino, «una necessità – ha detto – di santificare l’operato dell’uomo attraverso un alimento che ha bisogno di tempo», all’importanza dello shabat, del sabato, giorno della settimana nel quale «la donna ebrea riposa e a tavola compaiono i cibi cotti prima e conservati sotto il camino».

Il Rabbino Maggiore Piperno, con la sua grande capacità affabulatoria, ha gettato anche uno sguardo sull’oggi, esortando a “staccare il telefonino per 25 ore e a riprendersi il proprio tempo, decidendo di ridiventarne padroni, mostrando la capacità di ritrovare se stessi, assaporando la libertà da una vera e propria forma di schiavitù”.

Tra gli elementi fondamentali della cucina ebraica il Rabbino Piperno ha indicato anche il pesce: quelli di fiume che si rifanno alla corrente che risale ad Aschenez, pronipote di Noè, presente nella zona grecanica della Calabria, e quelli di mare che vengono impiegati nella cucina giudaico-romana, come gli aliciotti con l’indivia, la cui caratteristica è che possono essere consumati anche a distanza di ore dalla loro preparazione. E le citazioni storiche si sprecano, fino a risalire al 1650 quando gli ebrei del ghetto di Venezia tenevano un’oca sul terrazzo pronta per la macellazione e dalla quale si ricavavano oltre che il prosciutto anche i salumi. Con il Doge compiacente e che non si opponeva all’allevamento delle oche da parte degli ebrei perché costava poco. Nel racconto del Rabbino Maggiore ha trovato spazio anche il parallelismo tra la tradizione della cucina kosher e quella calabrese, soprattutto con riferimento ai dolci. Un chiarissimo indizio di presenza ebraica è rintracciabile nei dolci al miele di Soriano Calabro, i cosìddetti mostaccioli, che fanno bella mostra di sé anche nella millenaria Fiera di San Giuseppe di Cosenza. Dolci che richiamerebbero la durezza del pericolo di uno sterminio e la dolcezza del mettersi in salvo. E chi ci avrebbe mai pensato se questa riflessione non l’avesse stimolata il Festival della cucina Kosher?

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