“Il mediano di Mauthausen” e il “Che calabrese”, la malinconica resistenza di due eroi dimenticati

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RENDE (CS) – Ricordare i piccoli, grandi, eroi di ieri per imparare ad essere piccoli eroi resistenti di oggi. Un approfondito e doveroso sguardo a due intense storie del passato per guardare con coraggio al presente.
Due storie di coraggio e di fedeltà agli ideali (di famiglia, di etica, di partito…), valori che oggi possono ancora avere un valore. Grazie alla ricerca, e alla penna, dei giornalisti cosentini Francesco Veltri e Alfredo Sprovieri, rispettivamente autori de “Il mediano di Mauthausen” (ed. Diarkos ) e di “Joca, il Che dimenticato” (Mimesis), abbinati e presentati insieme ieri, nella sala Tokyo del Museo del Presente, nell’ambito del ciclo di incontri denominato “Latitudini ribelli – Storie di coraggio e memoria” promosso dall’assessorato alla cultura del comune di Rende. «Due storie di resistenza – come dichiarato in apertura dei lavori dall’assessora alla cultura Marta Petrusewicz -, accomunate dal comune senso di libertà e democrazia”».

L’Arpad Weiz del Cosenza

Storie di resistenza, dicevamo, di lotta, di sport e di amore. La prima è quella del calciatore – operaio (come tiene a sottolineare l’autore) di Vittorio Staccione, centrocampista piemontese in ascesa negli anni ’30 (fratello del probabilmente piu noto Eugenio) che ha chiuso la sua carriera nel Cosenza Calcio prima di chiudere la sua vita nel campo di concentramento nazista. Ha militato anche nel Torino (con la quale ha vinto lo scudetto poi revocato del 1926-1927), della Cremonese (dove è stato addirittura “boicottato” giornalisticamente dalle cronache sportive dell’epoca e finanche nei tabellini delle partite) e della Fiorentina, alla passione per il calcio Staccione ha alternato anche quella per la politica e le lotte sociali all’interno delle fabbriche che lo hanno messo sotto la lente d’ingrandimento di fascisti e filofascisti. «Un resistente in campo, da perfetto mediano – racconta Veltri -, come nella vita». Una storia ben raccontata – come detto dal giornalista Eliseno Sposato durante la conferenza di presentazione coordinata da Simona De Maria –, a metà fra il romanzo e il saggio storico, che ha il merito di ridare memoria e dignità a Staccione e che ha incontrato l’apprezzamento della famiglia del calciatore dimenticato, in particolare del pronipote Federico Molinario.

L’altro “Che”, il “Che calabrese”

Giancarlo Castiglia detto “Joca” era invece l’emigrato calabrese, originario di San Lucido (Cs), che ha guidato in Brasile la ribellione contro il golpe istituzionale dei Gorillas. Una storia, come quella di Staccione, ancora poco conosciuta che parla della strenua resistenza durata tre anni di 69 attivisti contro 10 mila militari e che ha portato alla morte del loro comandante. Una storia che, come sostenuto dal ricercatore Francesco Campolongo, «interagisce con l’attualità e si inserisce come un pezzo di puzzle in un mosaico collettivo»; una testimonianza di come «la cultura possa battere la dittatura», rilancia Alfredo Sprovieri con un invito alla riflessione a chi deve resistere e lottare oggi: «Non può esistere processo di liberazione se non si fa un passo indietro da oppressori e uno avanti da oppressi».

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