REGGIO CALABRIA – «La giustizia per educare deve essere una giustizia in grado di determinare un orientamento culturale all’interno della società». Lo ha dichiarato il presidente della Commissione giustizia del Senato Nico D’Ascola nel corso del convegno organizzato dal Centro Sportivo Italiano “La giustizia che educa” a Gambarie. «Ogni ordinamento sezionale nel quale si articola nel suo complesso l’intero ordinamento giuridico in fondo risponde a regole che sono medesime. La giustizia si autolegittima, se crea un sistema di consenso, in cui i cittadini devono riconoscersi. Accettiamo l’inflizione delle sanzioni attraverso quello che potremmo definire una sorta di contratto sociale. Il cittadino delega a determinate strutture dello Stato la regolamentazione dei conflitti sociali, perché riconosce il valore della istituzione. Una giustizia che educa è una giustizia che riconosca la verità dei fatti. L’art. 27 della nostra Costituzione fissa il principio di rieducazione. La pena deve tendere alla rieducazione. Essa – continua D’Ascola – non può essere uno strumento soltanto punitivo perchè nell’uso di quel predicato “tendere” ci sta un’attenuazione del valore della rieducazione, ma certamente un dato è scontato, non si può rieducare un innocente perchè subisce l’inflizione della sanzione come un fatto ingiusto. Il presupposto di questo sistema di adesione e di riconoscimento e quindi nello stello tempo di questo orientamento culturale che si basa sul consenso per l’esercizio in concreto della giustizia è determinato da un bassissimo, tendenzialmente nullo livello di fallibilità della giustizia. Un sistema di pena che educa il soggetto deve anche tener conto dell’intervallo temporale tra la data di commissione dell’illecito e il momento in cui interviene la punizione».