CATANZARO – Oggi ricorre il 60° anniversario della tragedia di Marcinelle. L’8 ottobre del 1956 in Belgio, a causa di un errore umano, una nuvola di fumo nero avvolse improvvisamente la miniera “Bois du Cazier” in cui si verificò una delle più grandi tragedie mondiali sul lavoro. Un pozzo andò in fiamme a quasi mille metri di profondità e 262 minatori, di cui 136 erano cittadini italiani emigrati, restarono intrappolati e persero la vita. Tra di essi molti provenivano dal Mezzogiorno e dalla Calabria.
Photo presa da Repubblica.it
Il Presidente della Regione Mario Oliverio, per ricordare quella tragedia, ha disposto per oggi, in segno di memoria e di lutto, l’esposizione della bandiera a mezz’asta sulla “Cittadella” regionale. Ogni iniziativa pubblica, inoltre, che vedrà la presenza dello stesso Presidente e degli assessori regionali sarà preceduta da un minuto di silenzio.
«Ricordare quel dramma, figlio di un fenomeno che nel corso di oltre un secolo ha segnato profondamente la vita di tantissime famiglie meridionali e calabresi –afferma, in una nota, il Presidente della Giunta regionale- significa per noi ribadire un impegno concreto, forte e solenne, che è quello di garantire in Calabria condizioni di sicurezza sul lavoro e creare nuove opportunità occupazionali. La tragedia di Marcinelle -prosegue il Presidente Oliverio- ci offre anche l’occasione per riflettere sulle sofferenze, sui costi umani connessi al fenomeno migratorio ed a guardare con spirito aperto ed inclusivo, senza pregiudizi o atteggiamenti strumentali, demagogici e populisti a quanti, spinti dalla disperazione, dalla fame e dalla guerra, scappano dalle loro terre e sbarcano sulle nostre coste alla ricerca di un futuro migliore e, spesso perdono la vita nel Mediterraneo, annegando insieme alle loro speranze, esattamente come avvenne sessant’ anni fa ai nostri corregionali i cui progetti di assicurare a se stessi e ai loro figli una vita migliore, “esplosero” in una miniera di carbone”. Ricordare Marcinelle -conclude Oliverio- significa, dunque, ricordare a noi stessi, ai nostri figli, alle nuove generazioni che anche noi siamo stati migranti e che abbiamo conosciuto e subito, in una terra ”sconosciuta e straniera”, le condizioni disumane del lavoro, sopportando enormi umiliazioni e sacrifici. Il ricordo di quel dramma deve aiutarci a comprendere che nessun popolo, nessun uomo, donna o bambino, deve morire perché respinto, non accolto o rifiutato».