RENDE (CS) – Un’aula gremita è lo scenario che si è presentato agli occhi di chi ha presenziato all’apertura dell’anno accademico del Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università della Calabria. «Sono lieto della presenza del professor Luca Serianni. Questa mattina inauguriamo i corsi dell’Area Umanistica che nel 2007, anno in cui Luca Serianni venne qui, si chiamava Facoltà, facoltà poi cancellate dal decreto Gelmini. Nell’arco di 11 anni abbiamo assistito ad un arretramento: circa 12mila iscritti in meno rispetto al 2007, un dato che non tocca il Dipartimento di Studi Umanistici in cui il numero di iscritti è invariato, segno che ancora gli Studi Umanistici hanno qualcosa da dire», conclude Raffaele Perrelli, direttore del Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università della Calabria. Il “fuoco sacro della parola”, per utilizzare un’espressione usata dal professore Francesco Garritano, si diffonde attraverso la ricchissima e brillante prolusione del filologo e linguista Luca Serianni. «La varietà delle lingue nello spazio è, prima ancora che un assunto scientifico, un’evidenza. La differenza è una qualità intrinseca alla comunicazione tra esseri viventi. Fin nei primi mesi di vita, i bambini imparano con i suoni dei versi tipici degli animali, versi che sono codificati in forme più o meno distanti dalla prospettiva della realtà fonetica . Le lingue sono sistemi aperti che tendono naturalmente alla contaminazione reciproca , “nessuna lingua è pura” per usare un’affermazione di Melchiorre Cesarotti contenuta nel ‘Saggio sulla filosofia delle lingue’. Nell’haus, un idioma parlato soprattutto in Nigeria, si trovano due italianismi, uno dei quali è una parola che corrisponde a ‘sapone’. Qual è il rapporto della lingua italiana con le altre lingue? Il tema dell’interazione con le lingue viene affrontato secondo due prospettive: la presenza degli italianismi all’estero, e lo spazio dell’italiano come lingua seconda nel ‘mercato delle lingue’. Nel corso della storia, l’italiano ha esercitato un flusso notevole. Quando si pensa alla presenza dell’italiano nel mondo vengono in mente in primo luogo la musica, le arti, soprattutto nel periodo compreso tra il ‘500 e il ‘700. Interessante è la presenza di parole legate al cattolicesimo e promosse dall’attività missionaria successiva alla Controriforma: ‘cappuccino’ è documentato in 21 lingue su 66 censite. Nel campo della gastronomia, su 50 delle 66 lingue censite, accanto a ‘pizza’ e ‘spaghetti’, offre alcune specialità diffuse negli anni ’90, per esempio ‘tiramisù’ che si trova tra l’altro in indonesiano, oppure ‘pesto’ e ‘carpaccio’; il mondiale del 1982 promosse la diffusione di parole di ambito sportivo come ‘tifoso’ in 17 lingue». Gli italianismi possono figurare perlopiù come prestiti indiretti anche in lingue molto distanti, «nell’islandese la maggior parte degli italianismi risale all’800-900 ed è legata alla maggiore circolazione di persone e idee. Uno degli italianismi più diffusi nel mondo, Islanda compresa, è ‘ciao’», vi sono anche i prestiti occasionali che rappresentano sviluppi autonomi della lingua ricevente come ‘decorello’ che nella lingua tedesca indica la ‘protezione antisole che serve a coprire il parabrezza’. Qual è l’incidenza dell’italiano nel mercato internazionale delle lingue? «Incrociando una serie di dati forniti dagli Istituti italiani di cultura vediamo che l’italiano occupa uno spazio marginale, nel 2010 rappresentava la seconda scelta solo per il 4,6%; la seconda posizione di lingua più studiata è conquistata in territori legati all’Italia da un fitto interscambio. Un indicatore significativo per valutare la richiesta dell’italiano nel mondo è l’età media degli studenti perché è intuibile che più una lingua seconda è studiata da persone di giovane età, tanto più forti sono il suo prestigio e la proiezione nel futuro lavorativo. In alcune aree si registra una fascia di studenti di età compresa tra i 18 e i 30 anni che raggiunge punte del 97% in Albania e Africa settentrionale: si tratta di aree in cui si guarda all’Italia anche come possibile sbocco formativo per persone che appartengono a comunità presenti in Italia come cittadini o come stranieri che hanno un permesso di soggiorno». Gli emigrati che posto occupano? L’italiano resiste in chi ha lasciato l’Italia nel periodo compreso tra il 1880 al 1950? «Da alcuni studi- comunica Serianni- a persistere è un principio di italianità che consiste nell’attaccamento ad alcune pratiche culturali». Dall’analisi dell’ormai tristemente noto caso della ‘fuga dei cervelli’, da uno studio è emerso che «a Monaco di Baviera vi è un uso differente della lingua a seconda delle attività comunicative, che è massima nel caso del contare, pensare tra sé e sé e imprecare, minima, invece, è per attività che presuppongono un reticolo sociale di riferimento extrafamiliare». Un’analisi dettagliata che tocca anche il tema delle minoranze linguistiche diffuse lungo lo stivale italico: «le vecchie minoranze linguistiche, come ad esempio quella grecanica, diffusa in Salento e in Calabria, e quella albanese, e le nuove come il francese in Valle d’Aosta o il tedesco in Trentino Alto Adige». Di grande attualità il tema delle nuove minoranze linguistiche, distinte tra lingue migranti e lingue immigrate, un tema trattato dai giuristi: già l’articolo 3 comma 2 della Costituzione contiene il presupposto dell’integrazione linguistica. Quanti sono i cittadini stranieri presenti nel nostro Paese? «I dati Istat dicono che il 1 gennaio 2016 risultano presenti nel nostro Paese poco meno di 4milioni di cittadini extracomunitari provenienti perlopiù da Marocco, Albania e Cina., a questa cifra vanno aggiunti i romeni che, per un dato aggiornato al 2018, risultano 1 milione e 190mila. Ogni anno un certo numero di persone acquisisce la cittadinanza italiana scomparendo quindi dalle statistiche. Il grado di integrazione varia in base a numerosi parametri, vi sono comunità chiuse come quella cinese e quella araba, e comunità aperte come l’Europa orientale e l’America Latina; le condizioni di integrazione sono favorevoli per bambini e adolescenti scolarizzati e adulti che lavorano in un contesto plurilingue, meno favorevoli per coloro che lavorano all’interno del proprio gruppo etnico e per le casalinghe che hanno pochi contatti con l’esterno. In ogni caso la distanza tra le lingue non è mai una condizione ostativa: come osservava Alberto Mioni,“l’atteggiamento dei parlanti verso una data lingua spesso conta di più della distanza oggettiva tra le lingue”».
Rita Pellicori