Don Edoardo Scordio ideatore del patto scellerato con la cosca Arena

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CROTONE – Sarebbe stato don Edoardo Scordio, parroco di Isola Capo Rizzuto, l’ideatore del patto scellerato tra la cosca Arena della ‘ndrangheta ed i gestori del Cara per lo sfruttamento per scopi tutt’altro che umanitari dei fondi destinati all’accoglienza ed all’assistenza dei migranti. Ne è convinto il gip di Crotone, Abigail Mellace, che l’ha scritto nero su bianco nel provvedimento con cui ha disposto la custodia cautelare in carcere per il sacerdote coinvolto nell’inchiesta della Dda di Catanzaro che ha portato al fermo di 68 persone. Il gip Mellace scrive a chiare lettere che «l’ingresso della cosca Arena nella gestione del Cara si è realizzato per effetto di una vera e propria “proposta di affari” che la consorteria ha ricevuto da un insospettabile personaggio, don Edoardo Scordio». Sarebbe stato proprio il parroco di Isola Capo Rizzuto, secondo la ricostruzione del gip, a proporre ai vertici delle cosche Arena, Gentile e Nicoscia di «costituire e affidare alla gestione di sodali di fiducia le imprese cui affidare l’erogazione dei servizi più remunerativi in modo tale da permettersi di accaparrarsi la quasi totalità delle risorse stanziate». I fondi sarebbero così finiti in parte nelle casse delle cosche «per altri lucrosi investimenti» e in parte nelle mani dello stesso don Scordio. Il giudice rincara poi ulteriormente la dose quando sostiene che «don Edoardo Scordio è a tutti gli effetti un esponente di rilievo della stessa associazione mafiosa» per avere assicurato allo stesso gruppo criminale «il suo continuo e costante apporto, procurando il denaro che occorreva ai sodali, custodendo proventi delle estorsioni e comunque ideando e concorrendo a porre in essere tutte quelle condotte che hanno assicurato al clan di incamerare milioni di euro». Il gip non riserva un diverso trattamento all’altra figura centrale dell’inchiesta, il governatore della Misericordia di Isola Capo Rizzuto, Leonardo Sacco, al quale attribuisce «un ruolo centrale nell’affare che, realizzando un inedito connubio tra mafia e istituzioni ecclesiastiche, dimostra la straordinaria capacità della cosca Arena di infiltrarsi in ogni apparato e settore della società civile». Proprio l’esponente della Misericordia, con la sua condotta, secondo il Gip, avrebbe partecipato «a uno dei più lucrosi e spregevoli affari mai gestiti da un’organizzazione criminale». I giudice, nel provvedimento, fa anche riferimento alla linea di difesa adottata da Sacco nel corso del suo interrogatorio, quando ha provato a fornire una spiegazione in merito ai prelevamenti in contanti dai conti della Misericordia sostenendo che quei soldi venivano consegnati agli uffici amministrativi per pagare gli stipendi ai dipendenti. Una tesi che non ha convinto affatto il gip Mellace, secondo il quale, invece, Leonardo Sacco si sarebbe impossessato dei fondi. Un altro passaggio significativo del contenuto del provvedimento del giudice è quello in cui si fa riferimento alle dazioni di denaro da parte del governatore della Misericordia agli esponenti di spicco della cosca, che non sarebbero state affatto, secondo il giudice, «frutto di un’imposizione o di un’estorsione», come sostenuto da Sacco.

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