REGGIO CALABRIA – L’avvocato Giancarlo Pittelli, arrestato per concorso esterno con la ‘ndrangheta martedì nell’ambito dell’inchiesta “Malapigna” ha risposto alle domande dei pm per 4 ore. Assistito dai suoi avvocati l’ex senatore di Forza Italia detenuto nel carcere di San Pietro, a Reggio Calabria, ha sostenuto l’interrogatorio di garanzia davanti al gip Vincenza Bellini che ha emesso nei suoi confronti l’ordinanza di custodia cautelare in carcere su richiesta del procuratore Giovanni Bombardieri, dell’aggiunto Gaetano Paci e dei sostituti della Dda Gianluca Gelso, Paola D’Ambrosio e Giorgio Panucci.
L’indagine, condotta dai carabinieri forestali, ha fatto luce su un traffico di rifiuti gestito dalla cosca Piromalli di Gioia Tauro. Secondo i pm Pittelli era “uomo politico, professionista, faccendiere di riferimento avendo instaurato con la ‘ndrangheta uno stabile rapporto ‘sinallagmatico’”.
L’indagine e il rapporto con Delfino
Nel corso dell’interrogatorio, Giancarlo Pittelli si è difeso sostenendo che il suo rapporto con Rocco Delfino, il principale indagato, era di tipo esclusivamente professionale. Ha contestato, inoltre, le dichiarazioni rese nei suoi confronti dal collaboratore Cosimo Viriglio e dal giudice Marco Petrini che lo aveva accusato di voler sistemare un processo a Catanzaro. Si tratta di fatti che, secondo Pittelli, sono stati già oggetto di indagine da parte della Procura di Salerno che ha archiviato la sua posizione dopo la ritrattazione di Petrini.
L’ex senatore, secondo quanto si è appreso, ha riferito anche in merito all’accusa di aver svolto il ruolo di “postino” per conto dei boss di Gioia Tauro. Secondo gli inquirenti, inoltre, “facendosi portavoce delle esigenze della cosca”, Pittelli avrebbe sottoposto all’attenzione di Rocco Delfino, ritenuto “soggetto di estrema fiducia” della famiglia mafiosa, “una missiva proveniente da Antonio Piromalli finalizzata a far risultare un pagamento tracciato e quietanzato per il consulente tecnico che avrebbe dovuto redigere la consulenza per conto di Giuseppe Piromalli, indagato quale mandante, in concorso con altri capi di cosche di ‘ndrangheta e di Cosa nostra siciliana, dell’omicidio del giudice Scopelliti”, il sostituto procuratore generale della Cassazione ucciso il 9 agosto del 1991 in un agguato a Campo Calabro, nel reggino.
“Sono una persona perbene”
“Io – ha detto Pittelli nel lungo interrogatorio – sono una persona perbene. Ormai tutta la melma me la state scagliando addosso. Delfino si era proposto di sostenere alcune spese ma io ho rifiutato perché se ne sarebbe occupata la moglie. L’intercettazione è chiara”. La difesa dell’ex parlamentare ha anticipato, infine, che produrrà la missiva di Piromalli che Pittelli ha mostrato a Delfino. Una lettera che, secondo gli avvocati, “non può contenere niente di illecito perché, essendo Piromalli al 41 bis, aveva il timbro di censura. Il contenuto riguardava semplicemente la strategia processuale. Non c’era un messaggio né sull’omicidio Scopelliti né di altro genere”.