ROMA – Ha sollevato un polverone, e una serie di pesanti prese di posizione politiche, la scarcerazione di tre presunti affiliati alla ‘ndrangheta della Piana di Gioia Tauro per il mancato deposito da parte della Corte d’appello di Reggio Calabria delle motivazioni della sentenza del processo “Cosa mia” sulle cosche di Rosarno. Il mancato deposito delle motivazioni non ha consentito alla corte di Cassazione di pronunciarsi nei tempi fissati dalla legge sulla sentenza d’appello, determinando il ritorno alla libertà dei tre presunti affiliati per la scadenza dei termini di carcerazione preventiva. Un grave danno all’immagine del sistema giudiziario soprattutto se rapportata alla pericolosità sociale della ‘ndrangheta ed alla necessità di combatterla nel modo più efficace. A sollevare la questione è stato per primo il deputato della Lega Nord Paolo Grimoldi, segretario del partito in Lombardia, secondo il quale «e’ gravissimo che tre esponenti della ‘ndrangheta pericolosissimi per la societa’ siano stati scarcerati, nonostante le gravi condanne subite nei primi due gradi di giudizio». Poco dopo e’ intervenuto anche il ministro della Giustizia Andrea Orlando, che ha reso noto di avere chiesto agli ispettori di via Arènula «di acquisire notizie» sulla vicenda. L’inchiesta “Cosa mia”, nata nel 2010 grazie al procuratore Pignatone, ha svelato gli affari connessi alla costruzione dell’autostrada Salerno-Reggio Calabria. Un processo che l’anno scorso ha visto confermate in Corte di Appello le condanne per 42 imputati. Un risultato che la carenza degli organici rischia adesso di vanificare.