COSENZA – A finire nei guai anche alcuni amministratori giudiziari ai quali era stata affidata l’Eurofish, una ditta confiscata a seguito di una maxi operazione condotta nel 2006 e che continuava ugualmente a rispondere agli ordini dei capicosca. Alcuni di essi sono noti a Cosenza per aver assunto il controllo della squadra di calcio nel 2003, quando la società silana venne commissariata dalla giustizia. Si tratta di Nicola Giuseppe Bosco e Gennaro Brescia, per i quali i magistrati avevano richiesto anche l’arresto, richiesta respinta dal Gip. Nel complesso dell’operazione, denominata “Frontiera” le manette sono scattate per 58 persone, tutte appartenenti al clan del re del pesce Franco Muto. 400 i militari impiegati per cingere d’assedio l’abitato di Cetraro e consentire l’arresto degli appartenenti al sodalizio criminale. In carcere anche i due figli di Franco Muto, Luigi e Mara. Esercitavano il monopolio sul pescato lungo il Tirreno cosentino, estendendo le proprie articolazioni anche sulle coste lucane e nel Cilento. Riuscivano a controllare ogni singola barca, stabilendo il prezzo di vendita del pesce e procedendo alla piccola e alla grande distribuzione. E chi non si piegava subiva delle ritorsioni, come capitato ad un grande supermercato della catena Conad, incendiato il giorno della inaugurazione. L’inchiesta, condotta dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Catanzaro ed avviata nel 2014, ha consentito di accertare anche legami con la camorra nella gestione dei traffici di sostanze stupefacenti, in particolare di cocaina, che inondavano le località turistiche del Tirreno. La cosca inoltre aveva il monopolio commerciale anche nel settore delle lavanderie industriali cui ristoranti ed attività alberghiere erano obbligate a rivolgersi. I particolari dell’indagine sono stati illustrati nel corso di una conferenza stampa organizzata presso il comando provinciale dei carabinieri di Cosenza, alla quale sono intervenuti il comandante dei Ros Giuseppe Governale, i magistrati Nicola Gratteri, Giovanni Bombardieri e Vincenzo Luberto della direzione distrettuale antimafia, il comandante provinciale dei carabinieri di Cosenza Fabio Ottaviani. Emersa anche l’inerzia delle istituzioni. A Cetraro il comune ha inaugurato dei locali che avrebbero dovuto ospitare l’asta del pesce. Scatole vuote rimaste malinconicamente inattive.«La cosca Muto si muoveva come una multinazionale, diversificava le proprie attività e gli interessi economici per avere il controllo assoluto del territorio, controllava quasi il respiro in questo territorio. Oggi abbiamo colpito i vertici di una delle famiglie più importanti della ‘ndrangheta della famiglia Muto di Cetraro che tra l’altro controllava il pescato di tutte le imbarcazioni che operavano sulla costa cosentina – ha spiegato Gratteri sottolineando che – ordinavano a tutti i pescatori che tipologia di pesce volevano, se non era quello imponevano di buttarlo in mare: controllavano questo pescato che rivendevano alla grande distribuzione e a tutti i ristoratori della fascia tirrenica cosentina». Tra gli indagati anche diversi amministratori giudiziari. «Infedeli, asserviti alle organizzazioni mafiose, perché beni confiscati continuavano a essere gestiti dalla cosca. Per questi amministratori giudiziari abbiamo chiesto misure interdittive, che non sono state accolte ma faremo appello perché queste persone devono andare in carcere – ha aggiunto Gratteri – Ai fini della credibilità dello Stato non è possibile che beni sequestrati alla mafia continuino a essere nella disponibilità dei mafiosi». I magistrati hanno dato esecuzione anche ad un decreto di sequestro preventivo di beni mobili ed immobili per un valore complessivo di 7 milioni di euro. Presente alla conferenza stampa anche il generale del Ros dei carabinieri Giuseppe Governale. Francesco Pirillo lo ha intervistato:
L’inchiesta calabrese si incrocia con quella condotta in Campania sull’omicidio del sindaco di Pollica Angelo Vassallo, assassinato il 5 settembre 2010. Le indagini infatti, consentivano di accertare la presenza di tentacoli della cosca Muto nell’area del Cilento e nel Vallo di Diano dove Franco e Luigi Muto e Pietro Valente, della cosca di Scalea confederata con i Muto, avevano stretto rapporti con Vito Gallo di Sala Consilina. Inoltre, una parallela attività investigativa avviata dai Carabinieri della Compagnia di Scalea, metteva in rilievo i traffici illeciti di cocaina, hashish e marijuana che il clan Muto gestiva sull’intera costa dell’alto Tirreno cosentino, dove poteva contare su un fiorente mercato legato alla presenza di migliaia di turisti nelle note località estive di villeggiatura, Scalea, Diamante e Praia a Mare. Durante l’inverno il mercato della droga rimaneva comunque attivo poiché i clienti arrivavano anche dalla vicina Basilicata e le dismesse abitazioni estive venivano usate come depositi di stupefacente. Sulla base degli elementi indiziari raccolti, in particolare dai militari della Compagnia di Scalea per i quali Gratteri e Luberto hanno speso parole di elogio per il lavoro effettuato, si delineava l’operatività del sodalizio mafioso facente capo a Francesco Muto, dedito principalmente ad attività di narcotraffico ed al pervasivo sfruttamento delle risorse del territorio di diretta influenza, attraverso una serie di attività fittiziamente intestate a prestanomi mediante le quali assumevano il controllo monopolistico di importanti settori commerciali, il principale dei quali era il settore ittico. Muto, considerato il re del pesce, era già stato condannato per aver avviato un vero e proprio controllo monopolistico dell’offerta e della domanda di pescato nell’alto tirreno cosentino, tramite l’impresa Eurofish intestata al genero Andrea Orsino. La Eurofish era già stata confiscata nel 2006 ma di fatto, è rimasta nella disponibilità dei Muto per come emerso dalle indagini. Secondo i magistrati vi sarebbe stata una documentata connivenza degli amministratori giudiziari, per cui la Eurofish ha continuato ad esercitare l’offerta di pescato in regime di monopolio, garantendosi l’esclusivo conferimento da parte delle flottiglie locali di pescatori e imponendo modalità, tempi e tipologia di prodotti ittici da immettere sul mercato. Sono inoltre emersi i rapporti con la grande e media distribuzione, con i ristoratori e con gli albergatori della riviera settentrionale cosentina, ai quali i prodotti ittici venivano distribuiti e commercializzati in assenza di concorrenza. Il controllo ‘ndranghetistico nel settore è stato ulteriormente assicurato dalla diretta gestione dei punti vendita al dettaglio e dalle imposizioni estorsive agli imprenditori più che si ribellavano al sistema. In questo ambito, Vito Gallo e Pietro Valente, per assicurare ai Muto la gestione della pescheria interna al Centro Commerciale di Sant’Arsenio (SA) e del supermercato di Scalea, entrambi a marchio Conad, mettevano in atto richieste estorsive ed attentati volti a convincere i titolari delle imprese a piegarsi al racket. Inoltre la cosca dei Muto, utilizzando vari congiunti e prestanome, ha avviato diverse rivendite di pesce assicurandosi così una significativa fetta dell’offerta al dettaglio di prodotti ittici, eludendo le disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione ed agevolando la consorteria di ‘ndrangheta di appartenenza. Vi era poi un interesse nel settore delle lavanderie industriali. L’attività era gestita da Antonio Mandaliti, elemento di vertice della cosca Muto, ed era fittiziamente intestata alla moglie Maria Iacovo. Forniva le proprie prestazioni ai numerosissimi alberghi, ristoranti, resorts e villaggi turistici nel territorio criminalmente controllato dal sodalizio, imponendo contestualmente l’approvvigionamento di prodotti ittici presso l’impresa dei Muto. Ancora il clan gestiva i servizi di vigilanza e sicurezza dei locali di intrattenimento sulla riviera settentrionale tirrenica, attraverso una serie di fidati imprenditori di settore che hanno assicurato al sodalizio cosiddetto “degli zingari” di Cosenza ed agli stessi Muto, la ripartizione di tali attività, imponendo ai titolari di locali e discoteche il numero di buttafuori ed addetti, nonché il costo delle prestazioni di ciascuno di essi. L’indagine ha inoltre documentato, anche attraverso una serie di mirati interventi repressivi, un’intensa attività di narcotraffico realizzata dagli appartenenti alla cosca Muto principalmente su due piazze di spaccio individuate nei centri di Sala Consilina (SA) e Praia a Mare (CS), sfruttando diversificati canali di approvvigionamento, utilizzati in base al tipo di sostanza commercializzata. Tra i rapporti in essere, vi era quello che legava i Muto al clan camorristico dei Nuvoletta di Marano di Napoli. Per quanto attiene la cocaina, è stato documentato, anche mediante diversi interventi di riscontro e sequestri, come la stessa, una volta approvvigionata, venisse custodita a Cetraro e poi ceduta, in quantitativi variabili, ai vari rappresentanti di zona, operativi nella gestione di singole piazze di spaccio. Sono stati inoltre accertati, soprattutto nella stagione estiva, gli interessi della cosca Muto anche per la coltivazione di canapa indiana sugli estesi contrafforti appenninici dei comuni interni della provincia settentrionale tirrenica cosentina. Nell’estate del 2015 veniva infatti localizzato un significativo appezzamento di terreno coltivato con canapa indiana, nel comprensorio del comune di Buonvicino (CS) e nella mattinata del 29 settembre 2015 venivano tratti in arresto 3 soggetti che si erano recati a mietere il raccolto, successivamente quantificato in complessive 336 piante con la massima percentuale di principio attivo. Nel corso della perquisizione, all’interno di un manufatto, venivano rinvenute e sequestrate numerose armi e munizioni, tra le quali un fucile a canne mozze, cinque pistole (tutte armi con matricola abrasa), un pugnale da caccia, 4 ordigni artigianali, esplosivo da cava e miccia detonante. La centralità della cosca di Cetraro nel mercato dello stupefacente dell’alto Tirreno è stato confermata, come già detto, da pregresse indagini della Compagnia di Scalea. Le attività investigative hanno infine consentito di individuare anche un gruppo di fuoco dedito alle rapine presso uffici postali ed istituti di credito del territorio controllato dalla cosca Muto, documentando finanche le fasi precedenti ad uno di questi assalti, programmato presso l’Ufficio Postale di Sangineto. Il 4 giugno 2015, nell’imminenza della rapina, le forze dell’ordine procedevano ad un intervento preventivo che consentiva l’arresto in flagranza di 7 rapinatori ed il sequestro di armi con matricola abrasa complete di munizionamento, giubbetti antiproiettile, indumenti per il travisamento, materiali da sfondamento e 2 autovetture di provenienza furtiva. Questo l’elenco completo degli arrestati: Antonio Abbruzzese, Carlo Antonuccio, Gianluca Arlia, Pierpaolo Bilotta, Agostino Bufanio, Giulio Caccamo, Giuseppe Calabria, Pietro Calabria, Vincenzo Campagna, Giuseppe Candente, Gino Caroprese, Enzo Casale, Angelo Casella, Simone Chiappetta, Fedele Cipolla, Franco Cipolla, Alessandro De Pasquale Gianfranco Di Santo, Giuseppe Natale Esposito, Gaetano Favaro, Giuseppe Fiore, Pier Matteo Forestiero, Amedeo Fullin, Antonietta Galliano, Cono Gallo, Vito Gallo, Agostino Iacopo, Maria Iacovo, Simone Iannotti, Emanuel La Scaleia, Guido Maccari, Alessandra Magnelli, Filippo Martelliani, Francesco Muto, Luigi Muto, Mary Muto, Carmine Occhiuzzi, Luca Occhiuzzi, Andrea Orsino, Alfredo Palermo, Valentino Palermo, Sara Passariello, Antonio Pignataro, Sabrina Silvana Raimondo, Maurizio Rango, Vittorio Reale, Andrea Ricci, Francesco Giuseppe Riente, Simona Maria Assunta Russo, Luigi Sarmiento, Giuseppe Scornaienchi, Salvatore Sinicropi, Mariangela Tommaselli, Eupremio Rocco Trazza, Alexander Tufo, Pietro Valente e Fabrizio Vitale. L’ordinanza di custodia cautelare è stata emessa dal gip Distrettuale del tribunale di Catanzaro, Giovanna Gioia. Gli arrestati sono accusati a vario di titolo di associazione mafiosa, traffico di stupefacenti, estorsione e rapina.