VIBO VALENTIA – Nelle prime ore della mattinata odierna, nelle province di Vibo Valentia, Cosenza, Como, Monza, personale delle squadre mobili di Vibo Valentia e Catanzaro e del servizio centrale operativo della Polizia di Stato, dei Carabinieri di Vibo Valentia e della compagnia di Tropea e militari del Gico della Guardia di finanza di Catanzaro, nell’ambito di una operazione convenzionalmente denominata “Costa pulita”, hanno dato esecuzione ad un provvedimento di fermo d’indiziato di delitto, emesso dalla procura distrettuale della Repubblica di Catanzaro, nei confronti di 23 soggetti ritenuti responsabili, a diverso titolo, dei reati di associazione per delinquere di stampo mafioso, estorsione, intestazione fittizia di beni, detenzione e porto illegale di armi e sostanze esplodenti. Le investigazioni, si legge in una nota, avviate nei primi mesi del 2013, hanno riguardato numerosi soggetti appartenenti, o comunque contigui, al potente clan della ‘ndrangheta Mancuso, operante in tutto il territorio vibonese, ed alle consorterie collegate Accorinti, La Rosa e Grande, attive nei comuni del litorale tirrenico della provincia Vibonese, colpendone vertici e sodali. L’indagine peraltro ha lambito contesti politici locali, in particolare di passate amministrazioni del comune di Briatico e Parghelia. Tra i politici sotto inchiesta ci sono l’ex vice sindaco di Parghelia, Francesco Crigna, e l’attuale presidente della Provincia di Vibo Valentia, Andrea Niglia, dichiarato in candidabile nel 2014, ma il provvedimento era sospeso dopo il suo ricorso. Nel corso dell’attività, supportata da intercettazioni telefoniche, ambientali e video riprese, sono state sequestrate diverse armi da fuoco e, nel 2014, sono stati tratti in arresto, in flagranza di reato, alcuni elementi di spicco delle locali cosche, in procinto di porre in essere un attentato mediante l’utilizzo di un potente ordigno esplosivo. Durante le fasi dell’odierna operazione, si è proceduto al sequestro, ai sensi della normativa antimafia, di beni mobili ed immobili riferibili agli indagati per un valore di circa 70 milioni. Tra i beni sequestrati oltre 100 immobili, quote societarie e rapporti bancari ed anche 2 villaggi vacanze e tre compagnie di navigazione con altrettante motonavi che assicuravano, in regime di sostanziale monopolio, i collegamenti turistici con le isole Eolie. Una holding criminale a cui non sfuggiva un affare, dal turismo, al commercio per finire agli appalti pubblici. E per palesare plasticamente il loro potere, boss e gregari facevano sfoggio di loro stessi nelle processioni religiose. Mentre la mafia siciliana sceglie il basso profilo, infatti, in Calabria la ‘ndrangheta continua a ostentare il proprio potere sulla comunità. Oggi il comandante dei carabinieri del Ros Giuseppe Governale, a Catania per l’operazione Kronos che ha portato al fermo di 28 presunti mafiosi, ha spiegato che “Cosa nostra è contraria a ‘inchini’ e ‘omaggi’ ai boss, perché attraggono l’attenzione dei media mentre la mafia vuole rimanere sotto traccia”. Di converso, a Vibo, l’inchiesta “Costa pulita” svela la pesante infiltrazione dei clan nelle processioni. Sono gli stessi parroci del paese a svelare l’intromissione nella vita religiosa di Briatico. Don Salvatore Lavorato si sfoga davanti ai carabinieri: “Certi soggetti dovendo imporre il loro dominio si indirizzavano alla parrocchia nel tentativo di influenzare e dominarne l’attività pastorale”. Si scopre così che per la processione a mare della Madonna del Monte Carmelo l’unica barca che può essere utilizzata, e che paradossalmente si chiama “Etica”, è sempre quella del boss Antonino Accorinti. Per il capo bastone la celebrazione è “cosa sua” tanto che “una volta – ha raccontato l’ex parroco – terminata l’uscita hanno chiesto di portare la sacra effige all’inizio del loro campeggio ove hanno fatto dei grandi fuochi artificiali”. Ma le manifestazioni religiose sono solo il simbolo. Per gli inquirenti le attività turistiche, settore trainante dell’economia locale, sono “pesantemente infiltrate”. Il clan Accorinti fino adesso ha gestito quasi in regime di monopolio le minicrociere per le Isole Eolie: per anni migliaia di turisti hanno viaggiato sulle tre imbarcazioni (oggi sequestrate) della flotta dei clan. Per i proprietari dei villaggi l’ordine era chiaro, i loro clienti dovevano viaggiare solo sulle navi degli Accorinti: “Fino a quando c’è posto, li metti là dentro”. Anche uno dei resort più lussuosi era cosa loro. Le entrate non venivano solo dal turismo, i clan controllavano anche gli appalti pubblici, come i lavori del dopo alluvione del 2011, grazie ad alcuni amministratori locali oggi sottoposti a perquisizione e indagati per concorso esterno in associazione mafiosa. Tra questi il presidente della Provincia di Vibo Andrea Niglia da poco decaduto dopo la sentenza della Cassazione che lo ha dichiarato incandidabile, indagato in qualità di ex sindaco di Briatico. A tenere le fila della holding, secondo i pm Pierpaolo Bruni e Camillo Falvo ed il procuratore facente funzione Giovanni Bombardieri, ci sarebbe il boss Pantaleone Mancuso detto Scarpuni. Nel suo “ufficio”, un bar in cui gli investigatori avevano piazzato una microspia, passavano tutti. Era lui il regista che decideva la spartizione degli affari illeciti tra le cosche “satelliti”. Ma al tavolino di Scarpuni si andavano ad accomodare anche semplici cittadini, imprenditori, professionisti. Una realtà che Bombardieri ha definito “inquietante”. E chi ha provato ribellarsi e a denunciare le commistioni con i clan ha pagato caro. Come il giornalista Pietro Comito vittima di pesanti minacce dopo la pubblicazione di alcuni articoli in cui svelava come un assessore del Comune di Parghelia facesse da autista al boss del paese.