Usura e estorsione, anche le cosche cosentine coinvolte nel blitz di Roma

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ROMA – Estorsioni e minacce, in alcuni casi aggravate dal metodo mafioso, tassi usurai che raggiungevano il 20% al mese, legami con i gruppi di camorra e ‘ndrangheta da tempo stabilitisi a Roma, esponenti delle forze di polizia e professionisti a libro paga, immobili sottratti alle vittime come garanzia in attesa della restituzione delle somme e intestati ad una società Svizzera utilizzata come cassaforte. L’inchiesta della Guardia di Finanza che si chiude, per il momento, con 17 arrestinei e 50 indagati, porta alla luce ancora una volta le connessioni tra la criminalità romana autoctona e le storiche associazioni mafiose, tanto da far dire al procuratore aggiunto della Direzione distrettuale antimafia di Roma, Michele Prestipino, che «non parliamo di una criminalità alla matriciana ma di soggetti che, quando delinquono, hanno imparato bene le modalità dalle organizzazioni mafiose».

L’indagine nasce da una denuncia di una vittima nel 2013, aggiunge il comandante della gdf di Roma Cosimo Del Gesù, e da allora «è emerso uno spaccato inquietante». Sono complessivamente 17 le misure firmate dal gip, 13 in carcere e 4 ai domiciliari nei confronti di altrettanti soggetti accusati, a vario titolo, di associazione a delinquere, usura, estorsione, abusivismo finanziario, reimpiego di capitali illeciti, trasferimento fraudolento di valori e accesso abusivo a sistemi informatici. I finanzieri del Nucleo di polizia tributaria e quelli del Gico di Roma che hanno condotto le indagini, hanno sequestrato anche beni per 16,5 milioni.

A capo dell’organizzazione, secondo la gdf, c’era un imprenditore romano operante nel commercio di autovetture, Alessandro Presutti, e due pregiudicati napoletani da tempo a Roma, Francesco Sirica detto “Franco o’ pazz”, e Luigi Buonocore. Accanto a loro una serie di personaggi, tra cui un avvocato e un consulente del lavoro, ai quali spettava recuperare “legalmente” i crediti, e due finanzieri (finiti ai domiciliari), accusati di essere entrati nelle banche dati delle forze dell’ordine per fornire notizie riservate al gruppo. Ma non solo.

«Abbiamo documentato – dice Prestipino – la commistione tra gruppi criminali autoctoni e pezzi di organizzazioni mafiose radicate a Roma. C’è uno scambio di utilità criminali tra i gruppi». Dalle intercettazioni è emerso che, per quanto riguarda la camorra, l’organizzazione aveva legami “strutturali” con il gruppo di Michele Senese, quello che lo stesso Presutti definisce «il capo di Roma, il boss della camorra romana, che comanda tutto lui».

Rapporti stretti al punto che l’organizzazione avrebbe aiutato economicamente il gruppo, in cambio della copertura e di una sorta di riconoscimento. Il nome di Senese veniva utilizzato per gestire le dinamiche con le altre organizzazioni criminali, per intimorire le vittime ma anche per garantire la raccolta di soldi periodica in modo da sostenere le loro spese legali. Il legame con i calabresi sarebbe invece da ricollegarsi, sempre secondo gli investigatori, a Maurizio Rango, il reggente della cosca Rango-Zingari di Cosenza attualmente in carcere. Erano i calabresi ad occuparsi del recupero dei crediti e sarebbero stati i calabresi, sempre stando alle intercettazioni, a fornire un presunto killer delle cosche per affrontare le vittime che ritardavano i pagamenti. In cambio di una percentuale sui soldi sottratti alle vittime.

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