Carmine Abate porta a New York la sua vita ‘per addizione’

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In un periodo di globalizzazione culturale c’è chi ha fatto della 10428707_966735636679338_7289542583581455035_npropria esistenza una vita ‘per addizione’, una costante condivisione della propria multiculturalità. Carmine Abate, scrittore calabrese di origine arbëreshë, trapiantato in Trentino ed emigrato in gioventù in Germania, è una delle massime espressioni di questa vita da sradicati che si portano dietro la propria radice per trapiantarla in altri terreni, acquisendo nuovi nutrimenti non in sostituzione dei precedenti, ma quasi a completarli.

 

Lasciata la natia Carfizzi, in provincia di Crotone, alla volta di Bari e poi proseguendo per Amburgo, in terra teutonica, il nostro scrittore, premio Campiello nel 2012 per l’ancestrale romanzo ‘La collina del vento’, è tornato agli onori della cronaca letterindexaria con il suo ultimo lavoro, una più approfondita revisione di un’opera già pubblicata anni addietro: ‘La festa del ritorno’. E proprio con il nuovo lavoro sottobraccio, Abate ha rifatto i bagagli per affrontare un altro viaggio, questa volta attraversando l’oceano fino ad approdare in America dove, dal primo aprile scorso, ha avuto inizio il tour con l’incontro di tre classi di studenti del Mount Holyoke College South Hadley, l’istituto formativo che accolse la poetessa Emily Dickinson.

 

All’indomani della Pasqu21983_969621823057386_5361353093589730059_na, lo scrittore è giunto a New York, dove nel tardo pomeriggio di oggi 7 aprile terrà una conferenza al Calandra Italian American Institute con Amara Lakhous, scrittore algerino ‘cittadino della lingua italiana’, e Michael Reynolds, agente ed editore americano di entrambi gli autori.

 

Partire per tornare sui propri passi, partire perché si ha ‘una pistola puntata alla tempia’, per necessità, per fame, per desiderio di riscatto: questi saranno i temi intorno ai quali lo scrittore calabrese si soffermerà, mostrandosi nelle vesti del cittadino ‘global’ che acquisisce senza mai perdere nulla dal proprio bagaglio esistenziale.

 

Nel romanzo breve, aggiornato e ripubblicato lo scorso Natale, Abate si sofferma sulla partenza quale anello 11149555_969622059724029_8931653326585262487_ndi congiunzione di un rapporto difficile tra padre e figlio, una relazione costellata da incomprensioni, tra punti d’incontro e momenti di distacco, uniti insieme da quell’affetto quasi embrionale tanto profondo quanto sfuggente. Eppure la partenza è sempre ritorno, in un modo o in un altro. Si ritorna sui propri passi, su quella terra arsa e inaridita che è la Calabria senza lavoro per i propri figli, senza spazi, piena di rupi e di sterpaglie, di rughe e di sofferenze. Una terra vergine dalla quale per troppo tempo è stato difficile ma necessario fuggire.

 

Con uno stile veloce e meticoloso, dal tratto deciso, Carmine Abate rapisce il lettore alternando le voci dei protagonisti, mostrando i rispettivi punti di vista, i desideri, le frustrazioni e le gioie di due uomini che hanno costruito la propria storia ‘addizionando’ i terreni nei quali hanno messo radice. Prima il padre, poi il figlio, hanno entrambi percorso il cammino che li ha portati alla partenza agognando costantemente il momento del ritorno. Con quest’ultimo lavoro, lo scrittore si mostra ancora una volta come un porto sicuro nel quale s’incrociano esperienze e racconti, dal quale partono speranze e aspirazioni e dove finalmente si si approda in cerca della propria casa, ovunque essa sia.

 

Il futuro, per un bambino, è una parola. Io volevo stare accanto a mio padre ogni giorno della vita presente. Sempre”.

 

Daniela Lucia

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