“Il cacciatore di meduse”, il romanzo di Ruggero Pegna ispirato al dramma dei migranti, pubblicato il 2 luglio dalla casa editrice Falco, è subito diventato uno dei libri dell’estate 2015 e, a giudicare dalle critiche, è una storia destinata ad entrare nella élite dei romanzi di formazione su temi come il razzismo per il diverso colore della pelle o lo stato di miseria, le discriminazioni di ogni tipo, l’inserimento degli immigrati nelle nuove realtà in cui approdano, la convivenza tra uomini di ogni razza e cultura.
Tra realtà e fantasia, la storia del piccolo Tajil, il bimbo somalo sbarcato in Sicilia con la mamma Halima, un Pinocchio nella borsa e una sorellina acquisita sul barcone dopo il suicidio della madre durante la traversata, sta emozionando e commuovendo i lettori.
“Volevo dare voce a chi non ne ha – ha detto Pegna, reduce dal successo del precedente romanzo “Miracolo d’Amore” (Rubbettino Editore), durante le prime presentazioni a Vibo, Diamante e Cosenza – in particolare a quegli uomini, soprattutto di colore, che vediamo stipati nei barconi o ammassati in centri di raccolta in condizioni disumane. Volevo raccontare il loro dramma visto, però, con gli occhi di un bambino, uno di quelli che, dopo aver attraversato il deserto e il mare, arrivati nel loro nuovo Paese, desiderano integrarsi, sentirsi bambini normali e vivere la loro età con la gioia, i giochi e l’incoscienza dei nostri stessi figli. Ho voluto raccontare la storia di Tajil, un piccolo cacciatore di meduse e dei suoi amici, miseri di tutto il mondo, per sentirmi uno di loro, un po’ lavavetri, un po’ venditore di fiori o di cianfrusaglie… Tajil, tra i tanti lavoretti di una sua giornata, s’inventa un nuovo mestiere: prendere le meduse con le mani per consentire ai turisti di San Vito Lo Capo di tuffarsi tranquilli. Ho cercato – dice Pegna – di emozionarmi ed emozionare anche chi legge, sperando che questa storia contribuisca al superamento di pregiudizi e barriere e ci faccia entrare nella poesia di questa creatura, speciale come tutti i bambini normali! ”.
Il toccante romanzo, disponibile nelle librerie, sarà fruibile anche da non vedenti e ipovedenti nella versione braille curata dall’Uici di Vibo Valentia. Soddisfatto dell’accoglienza riservata al libro, anche il giovane editore cosentino Michele Falco: “Nella nostra casa editrice, dopo la prima lettura, abbiamo subito creduto in questo romanzo, sia per l’alta cifra letteraria, sia per la bellezza e l’attualità della storia. I primi riscontri ci stanno dando ragione. E’ un libro importante, che dovrebbero leggere tutti, in particolare i giovani”.
Il piccolo Tajil sta conquistando i lettori con la sua ingenuità, la sua dolcezza, il suo sogno di imparare bene l’italiano e diventare uno scrittore: «Io sono un bambino nero. Non so perché il mio colore è questo, ma sono contento lo stesso, perché somiglio a mamma, al nonno e a tutti quelli di Chisimaio. Se ero bianco, mi sarei vergognato sicuramente di stare là. Ora che sono grande e sono qui, non mi importa nulla se qualcuno mi chiama negro. Sono vivo e felice. E questo è bellissimo!”.
Inevitabile effetto del romanzo è quello di un’autentica sferzata verso il superamento di pregiudizi e di steccati culturali, che mal si accordano con la temperie della convivenza civile e comunitaria a ogni latitudine.
«La Terra è di tutti, diceva mio nonno e, per questo, sto bene anche qui, in mezzo a gente con la pelle diversa dalla mia. […] Penso che il nonno avesse ragione quando diceva che la bontà non dipende dal colore della pelle, ma da quello del cuore».