COSENZA – Iqbal Masih potrebbe essere un bambino come tanti. La sua storia di sfruttamento nella lavorazione di tappeti potrebbe essere purtroppo simile a molte altre. Ma c’è qualcosa che fa sì che a vent’anni dalla sua morte ancora si parli di lui, ancora risuoni il suo nome e si racconti la sua storia.
Sarà per la sua morte prematura, avvenuta a soli dodici anni. O forse per le modalità brutali con cui è morto, freddato da alcuni colpi d’arma da fuoco mentre pedalava in bicicletta. Sicuramente la ragione principale risiede nel suo impegno contro il lavoro minorile, che ne ha fatto diventare un simbolo in tutto il mondo. Da schiavo ad attivista, è stato infatti la voce di tutti quei bambini che sono ancora oggi costretti a lavorare.
A Cosenza la memoria di questo dodicenne pakistano è stata celebrata da Luigi Marino, Noemi Caruso e Nina Clerici presso la bottega del commercio equo e solidale Otra Vez. Una vita raccontata con musiche, parole e movimenti, gomitoli di lana e note che si dipanano nella stanza e nelle pieghe dell’anima. Dodici anni che a ripercorrerli sembrano cento. Dodici anni così carichi di esperienze e di determinazione che non sembrano veri, quasi si trasformano in mito.
Eppure le emozioni che si provano nell’ascoltare delle vicende di Iqbal interpellano i presenti nel profondo e non lasciano spazi all’immaginazione. I 12 dollari per cui è stato venduto dai genitori per ripagare un debito contratto si sentono tintinnare nelle tasche. I crampi dei bambini per la fame causati dall’incessante lavoro pungono allo stomaco. La voglia sbarazzina di poter giocare e correre, finalmente liberi dalle catene, disegna un ghigno sulle labbra.
Luigi, Noemi e Nina dipingono il quadro di un’infanzia spezzata, di privazioni e sofferenze che stridono con la natura stessa dell’essere bambini, di desideri e fantasie che dovrebbero essere loro pane quotidiano.
Diritti negati, carezze e sorrisi negati. Il mondo degli adulti che si contrappone a quello dei bambini. Il potere e la ricchezza ad ogni costo contro i sogni e la semplicità.
L’applauso finale è catartico. Riporta al presente dagli spazi angusti e maleodoranti della fabbrica di tappeti. Si torna a respirare dopo l’apnea delle emozioni. Ma le sensazioni provate non scivolano via, semplicemente si trasferiscono e si trasformano. E dalla tristezza nascono pensieri e riflessioni.
Mariacristiana Guglielmelli