“Qui ho conosciuto purgatorio inferno e paradiso” è il titolo del libro presentato ieri, 11 gennaio, nella Sala degli specchi del Palazzo della Provincia di Cosenza.
Protagonista e ospite d’eccezione don Giacomo Panizza, sacerdote bresciano, fondatore della comunità “Progetto sud” a Lamezia Terme.
La sua storia è un viaggio da nord a sud, un’emigrazione a rovescio come lui stesso la definisce. Un percorso che lo ha portato a lavorare e a vivere accanto alle persone più fragili. La comunità “Progetto sud” nasce infatti come gruppo di convivenza tra persone disabili e non, un luogo di inclusione sociale in cui costruire alternative per la risoluzione di problematiche legate alla disabilità, alla tossicodipendenza, all’immigrazione.
Una scelta non priva di ostacoli, che sembra dar fastidio a chi trae profitto dalle debolezze altrui. Accanto alle gioie e alle soddisfazioni del lavoro, iniziano gli atti intimidatori e le minacce della mafia. L’ultima, in ordine di tempo, solo qualche settimana fa, la sera di Natale, quando un ordigno esplosivo è scoppiato davanti ad una struttura per l’accoglienza dei minori immigrati non accompagnati gestita dalla comunità.
Dalla volontà di dimostrare vicinanza e solidarietà alla comunità “Progetto sud” parte l’idea della Fidapa (Federazione Italiana Donne Arti Professioni e Affari) di Cosenza di realizzare questo incontro. Intento che viene rimarcato più volte nelle parole introduttive della presidente Carmela Mirabelli, riprese a seguire dall’assessore alla Cultura della Provincia di Cosenza Maria Francesca Corigliano.
La presentazione vera e propria del libro viene affidata al presidente del Tribunale di Cosenza, Renato Greco, che conduce i presenti lungo la storia di don Giacomo Panizza, tracciando cinque differenti percorsi di lettura. Il primo è sicuramente il profilo personale del sacerdote, che, metalmeccanico fino a 23 anni, decide di coniugare la propria dedizione al prossimo con la vocazione religiosa. Da qui è un crescendo di esperienze e di incontri che ripercorrono oltre quarant’anni di vita e che incrociano le alterne vicende storiche del paese. Ne esce il quadro di una persona di grande umanità, che ha speso la propria vita per gli altri e con gli altri. Strettamente connesso a questo percorso è l’approccio alla sofferenza che anima l’attività di don Giacomo, un elemento che può viaggiare solo indissolubilmente legato alla dignità della persona. Ma la svolta fondamentale è la scelta di scendere in Calabria e di accompagnare un gruppo di persone nella presa di consapevolezza delle proprie capacità. Una chiave di lettura importante che propone Greco è dunque il ruolo del volontariato e del terzo settore, in una terra in cui spesso le istituzioni sono sorde e poco efficaci nel dare risposte ai cittadini. Ed ecco il richiamo alla Calabria, in un’analisi della nostra regione fatta da un emigrato del nord che ha la rara capacità di superare i pregiudizi e gli stereotipi che l’accompagnano, ma anche di svelare le errate e continue giustificazioni che impediscono il cambiamento reale. Ultimo spunto di riflessione suggerito dal presidente del Tribunale è naturalmente quello della ‘ndrangheta e delle situazioni contro cui ha dovuto lottare e ancora lotta la comunità lamentina. “Ribadisco anche in questa sede che la mafia si può combattere veramente solo attraverso un’intensa e capillare opera culturale, prima che repressiva. E l’attività di don Giacomo è l’esempio concreto di ciò che serve per un cambiamento reale.”
Dopo le parole di elogio per la sua attività e per le sue scelte di vita, nel suo intervento don Giacomo Panizza sembra quasi volersi mettere da parte per dare spazio a chi lo ha portato ad essere oggi così conosciuto e “ricercato”. Cita innanzitutto Goffredo Fofi, saggista, critico teatrale, letterario e cinematografico, impegnato da sempre sui temi sociali, da cui è partita l’idea del libro e delle domande che lo compongono. Egli svela che il titolo, suggerito dalla casa editrice Feltrinelli, voleva essere inizialmente “Vivere in Calabria” o “Calabria terra di frontiera” poiché l’intento era quello di fornire ai calabresi uno strumento per conoscere la propria terra. Nel corso dell’intervista invece è emerso più che altro ciò che il sacerdote ha incontrato in Calabria. Ne esce fuori quello che Renato Greco ha definito un “affresco composito di istituzioni, politica, economia, senza lasciare fuori neanche la Chiesa”. Ma soprattutto tanta gente “normale”, che affronta con coraggio la propria quotidianità. Don Giacomo non si stanca mai di ripetere quanto importante sia stato per la realizzazione del progetto della comunità la volontà e la disponibilità di uomini, donne, giovani di Lamezia che hanno creduto nella possibilità di un cambiamento.
Cita a più riprese Roberto Saviano, autore della prefazione, con cui ha in qualche modo condiviso l’esperienza della vita sotto scorta. Ricorda Vittorio De Seta, ma anche i tanti ragazzi che purtroppo ha dovuto salutare nel corso degli anni, morti a causa della distrofia muscolare o dell’aids. E poi ancora tanti nomi di compagni di viaggio, che hanno accompagnato il suo andare, le sue battaglie, le sue giornate.
Conclude l’incontro Nella Matta, past presidente e responsabile della Commissione solidarietà Fidapa di Cosenza, puntando l’attenzione sul capitolo del libro dedicato alle donne, che sono oggi più consapevoli del proprio ruolo e della possibilità di essere protagoniste attive del cambiamento. Una nota critica viene rivolta invece ai calabresi: ciò che rende così speciale e ammirevole l’opera di don Panizza è strettamente legato alla pavidità di agire della maggior parte della gente, che affida a pochi eroi la risoluzione di problemi che dipendono in realtà dall’impegno di tutti. Come è lo scontro con la ‘ndrangheta, che don Giacomo affronta tutti i giorni, senza cercarlo, ma semplicemente portando avanti la sua idea di rispetto, seguendo l’obiettivo di essere accanto alle persone fragili. Un invito interessante, rivolto principalmente all’assessore Corigliano, è quello di portare nelle scuole il libro presentato e l’esperienza che descrive, così da seminare partendo dai più giovani quel risveglio culturale auspicato dal presidente Greco.
Mariacristiana Guglielmelli