L’artista Paolo Scarfone, in mostra dal 17 aprile al 17 maggio presso la galleria d’arte Be Cause Artspace di Lamezia Terme, attraverso la materia nitida ed essenziale della carta, propone un’indagine sperimentale che abbraccia il campo della semiotica e dell’estetica. Tale progetto, che prende il nome di “Galleria muta”, si configura come un tentativo di riappropriazione di senso in un mondo che tende sempre di più a escludere la comunicazione e la relazione interpersonale. Con la serie di opere realizzate utilizzando i linguaggi Braille (ipovedenti), LIS (sordomuti) e LORM, l’artista ci spinge a riflettere su quanto sia difficile comunicare tra chi ha tutte le facoltà per farlo e ci pone di fronte a delle domande che riguardano il nostro modo di percepire le informazioni prodotte da qualcun altro. Una moltitudine di segni si staglia delicatamente su una serie di carte realizzate a mano, a voler rimarcare il legame intimo quasi atavico con la materia. Come se l’artista volesse mettere in risalto quella magia che sta alla base del processo creativo e che porta alla realizzazione di un prodotto finito. Inoltre l’uso di codici linguistici non facilmente decifrabili per chi possiede la vista e l’udito, ma al tempo stesso leggibili perché oggettivi, costringe chi osserva a compiere uno sforzo interpretativo e a dare un significato personale alle opere. Il percorso espositivo inizia con un’installazione esplicativa del concept che è alla base del progetto, prosegue poi con opere dotate di un’aura misteriosa come VeDio, Percorsi, Matrioska, Lib(e)ero libro d’artista, Appartenenza. Tutte presentano come comune denominatore la ricerca della spersonalizzazione, ovvero l’assenza dell’elemento emozionale. Paradossalmente il tentativo di ottenere la massima oggettività produce l’effetto contrario, cioè fa sì che lo spettatore s’interroghi su ciò che sta vedendo e gli attribuisca un suo personale significato non univoco. Chi osserva si trova così di fronte a una domanda: “È possibile oggi, nell’era multimediale, trovare un modo di comunicare universalmente valido, cioè in grado di colmare le distanze tra gli individui, sia nel caso in cui essi appartengano allo stesso gruppo sociale, sia quando siano messe in relazione culture diverse?”. A questa domanda Paolo Scarfone non dà una risposta, non offre alcuna ricetta, piuttosto smuove le coscienze verso l’assunzione della consapevolezza di un dato effettivo: la mancanza di una reale comunicazione tra gli individui, sia nel caso in cui si adoperi un linguaggio verbale che non verbale. Eppure un barlume di speranza resta, perché la “Galleria muta” diventa parlante quando il messaggio che l’artista vuole comunicare è interiorizzato dallo spettatore in modo differente ma pur sempre valido, quando la visione estetica si traduce istantaneamente in pensiero. A quel punto la distanza tra mittente e destinatario si accorcia inevitabilmente. Ecco perché il linguaggio dell’arte, nelle sue diverse forme, è in grado di superare le barriere tra le persone, di farsi comprendere da chiunque indifferentemente.
Marianna Leone