Una lectio magistralis vera e propria che ha riempito fino all’inverosimile il Duomo di Cosenza. Il critico d’arte Vittorio Sgarbi conclude così, in un tripudio di folla, la sua giornata cosentina, iniziata in mattinata nella Sala degli Specchi della Provincia di Cosenza per concludere il convegno sul “Cammino di Alarico”, insieme al Sindaco Mario Occhiuto, a Maurizio Misasi, membro del comitato tecnico-scientifico di Alarico, e al regista Massimo Scaglione.La sua dissertazione senza rete sull’icona della Madonna del Pilerio, che ha dato ufficialmente il via alle celebrazioni della Patrona della città di Cosenza e che culmineranno nella Festa di venerdì 12 febbraio, incanta tutti, fedeli e curiosi, giovani e anziani. Al termine dell’intervento, diviso in due parti e inframmezzato dall’apprezzata esibizione dell’ensemble di archi del Teatro “Rendano”, il critico d’arte strappa un lungo applauso al pubblico, prima di concedersi a flash, autografi e qualche selfie.
La serata è stata introdotta dal Rettore della Cattedrale Don Giacomo Tuoto, presenti il Sindaco Occhiuto ed il vescovo emerito di Cosenza, Mons.Salvatore Nunnari. La lectio di Sgarbi è stata preceduta dall’esecuzione dell’Ave Maria di Caccini, affidata al tenore Stefano Tanzillo e all’accompagnamento degli archi del “Rendano”, opportunamente catechizzati dal direttore artistico del teatro di tradizione cosentino Lorenzo Parisi.
La “Mater misericordiae” custodita nella cappella del Duomo di Cosenza è per il critico d’arte “un capolavoro, anche se di autore ignoto, ma di altissima qualità esecutiva”. Parla dal pulpito della Cattedrale per farsi vedere anche da chi ha trovato posto solo nelle ultime file e sotto di lui ha la riproduzione fedele dell’icona, un arazzo pregiato realizzato dal maestro Domenico Caruso della Scuola Tappeti Artigiani di San Giovanni in Fiore che dal 4 dicembre scorso ha messo radici anche nel centro storico di Cosenza dove è sorta una vera e propria bottega d’arte.
Se è vero come è vero che anche le opere d’arte hanno un loro linguaggio, “il punto più alto della religione cristiana – dice Vittorio Sgarbi – per ciò che riguarda la figura umana è la Madonna, quindi una donna. Le altre religioni la donna non la vedono, la tengono nascosta, la celano, se ne vergognano. La religione cristiana è, invece, profondamente legata alla figura della donna. La prima figura che noi guardiamo adorandola è la Madonna, madre di Gesù. E il nesso tra madre e figlio proprio dell’icona, è un nesso inscindibile, come avviene nella Pietà di Michelangelo”.
E dissertando di iconografia non le manda certo a dire quando si ricollega alla stretta attualità e ad alcuni casi eclatanti verificatisi in qualche scuola.
“Pensare che l’immagine del Cristo possa essere tolta dalle scuole da qualche preside demente – sottolinea Sgarbi – non solo è una negazione di civiltà e di religione , ma è una follia contro il buon senso, perché non hai davanti un potente, ma hai davanti un uomo che sta in croce e soffre. Quale danno potrà fare all’immaginazione e alla fede di chi non crede in lui?”.
Rientra dalla divagazione e riprende a parlare dell’icona divenuta oggetto di culto per i cosentini passandone in rassegna la storia.“La religione ha espresso una bellezza musicale che non ha limite e allo stesso modo l’ha espressa in un’arte che non ha confini. Nell’iconografia bizantina che resiste per quasi un millennio, dal V secolo fino al 1452 quando finisce l’Impero Romano d’Oriente, c’è una stabilità che è senza tempo. La Madonna col bambino è senza tempo”. E ricorda di quando negli anni settanta l’allora Vescovo di Cosenza, Mons.Enea Selis, cominciò, al di là dell’importanza liturgica dell’icona, una ricognizione scientifica sull’identità artistica di quest’opera e “quelli che la studiarono riconobbero in questa tavola un’immagine del dodicesimo secolo”. Un dato che ne testimoniava l’antichità e l’autenticità e dal quale scaturì il successivo restauro.
La lectio di Sgarbi prosegue evocando ciò che accadde nel 1576, al tempo della peste. “Accadde qualcosa – sottolinea il critico – che la fa diventare quello che è ora : la Madonna del Pilerio. Laddove Pilerio vale come pilastro, come identità integra di cui prende il nome, nella integrità della sua condizione, della sua concezione”. E disegna un parallelismo tra Madonna del Pilerio e Immacolata Concezione, fra la verginità della Madonna e l’integrità della colonna”
E non è finita. Perché Sgarbi di parallelismi ne sciorina ancora con “un dipinto straordinario, lontanissimo da questo, che è la Madonna del Collo Lungo di Parmigianino, che ha alle spalle un pilerio, una colonna che è l’inizio di un tempio che indica l’integrità della colonna intera e che corrisponde all’integrità della Vergine. La Madonna del Pilerio – continua a raccontare – diventa tale quando un devoto in preghiera davanti all’icona della Madonna si accorge di una macchia, un bubbone sul viso. Quel bubbone diventa l’immagine salvifica che può guarire gli uomini dalla peste”.
Cita ancora l’avvenimento del 1607, quando l’Arcivescovo Giovanni Battista Costanzo, in segno di affetto e di omaggio, su richiesta unanime dei cosentini, incorona la Vergine del Pilerio regina, nello stesso periodo in cui Caravaggio scappa da Roma e viene poi nel Meridione per finire la sua vita rientrando da Malta. Poi ricorda quando nel 1798, in una convocazione dei nobili del sedile, viene istituita la Festa della Madonna del Pilerio da celebrarsi ogni anno l’8 settembre. Tappe in cui l’immagine cresce fino a diventare quella straordinaria icona dello spirito che è diventata. Nel 1922 una successiva incoronazione. Nel ’76 il restauro avviato su indicazione di Selis. Nel 1981 l’arcivescovo Dino Trabalzini eleva a Santuario della Vergine del Pilerio il Duomo di Cosenza. Sarà poi Giovanni Paolo II, nell’84, a visitare la Cattedrale e a raccogliersi in preghiera davanti all’icona.
Poi le congetture di Sgarbi si soffermano sul valore stilistico dell’icona. “La qualità è alta, è innegabile, ma è impossibile definirne l’autore”.
Soffermandosi sul rapporto che la accosta alla verità degli uomini, la considera una vergine galacto profusa, perché il seno nel dipinto non è occultato, ma si vede, a sottolineare il luogo in cui la madre manifesta la sua forza di nutrimento da cui il figlio dipende.
“Per quanto l’opera non trovi un’identità riconoscibile in un autore, dal punto di vista iconografico – questo il parere di Sgarbi – l’oggetto di culto dei cosentini è probabilmente da misurarsi con un artista, dalla personalità molto forte, che si era formato a Costantinopoli o forse a Cipro perché questa immagine della galacto profusa è in rapporto con la vergine del Monastero di Kikko, proprio sull’isola di Cipro, detta la Kikkotissa”.
Un giudizio che Sgarbi mette subito in discussione mentre, approfittando dell’intermezzo musicale e dell’esecuzione dell’Aria sulla IV corda di Bach, da parte dell’ensemble di archi del “Rendano”, si reca a vedere l’originale nell’icona all’interno della cappella.
E allora l’accostamento cambia: Sgarbi cita un pittore del novecento Georges Roualt, avvezzo ai grandi aloni che evidenziano la luce del volto mentre lo cerchiano. Ma ipotizza anche un’altra possibilità, quella che porta ad un artista padano perché una delle caratteristiche degli artisti bolognesi è la forza di un colore che comunica un’emozione profonda del cuore. E Sgarbi di fronte all’icona originale è rimasto colpito dal rosso vivido presente in alcuni tratti del dipinto, un rosso che non è presente neppure nella pittura bizantina e che, invece, nel caso della nostra “Mater Misericordiae” rende viva e parlante quella immagine.
Insomma – conclude – un’intuizione estetica di straordinaria qualità. Il centro di un mondo spirituale.” E chiude alla sua maniera, senza rete, come aveva cominciato: “la città è sotto la protezione della Madonna la quale mi ha personalmente comunicato che protegge anche il Sindaco. Alarico, che pure fu uomo è una grande illusione, la Madonna è una realtà incontrovertibile. Meglio affidarsi alla Madonna che a barbari che non sappiamo da dove vengono e dove andranno”.