Cosenza – Una sala del cinema Citrigno stracolma di gente, pulsante, viva; una sala pullulante di giovani e meno giovani che comodi sulle poltroncine, in piedi e accovacciati sul pavimento, in assenza di altri posti a sedere, hanno accolto con entusiasmo il regista Daniele Vicari che, ieri sera, ha partecipato all’ultimo incontro della VI Edizione del Premio Mario Gallo con la proiezione de “La nave dolce”.
Non un film ma un documentario definito dalla critica “un poema per immagini e parole”, uno sprazzo di cinema del reale che ti entra nelle “ossa” e mette a fuoco esperienze crude e nude di vita vera; la vita sacrificata e massacrante di un popolo albanese che abbandona le sue coste per sbarcare su una nuova terra, la Puglia.
Un susseguirsi di immagini, di interviste e documenti inediti di archivio hanno così preso vita sullo schermo ripercorrendo le ansie, i dolori, le gioie, la frenesia di quei giorni; si vede così la nave Vlora che, l’8 agosto del 1991, attracca al porto di Bari e subito si scatena il panico, nessuno era ancora pronto a fronteggiare tali evenienze e, soprattutto, nessuno, forze dell’ordine comprese, era stato “addestrato” a contenere uno sbarco così imponente.
Nel documentario si vede la nave, affollata da anime speranzose in cerca di una nuova vita, dondolare esanime sotto il peso ingente dei passeggeri; ventimila tra uomini, donne e bambini avvinghiati, abbarbicati al vecchio mercantile proveniente da Durazzo diventato ormai un enorme animale pieno di vita. Non più un decadente rottame ma un ammasso di corpi stanchi ma vivi; corpi smagriti, pallidi, senza energie ma ancora con il cuore pulsante, desideroso di toccare una nuova terra, uomini investiti da una felicità incontenibile che ben presto esplode in un coro unanime e prorompente “Italia, Italia, Italia”.
Sì, l’Italia considerata dai molti migranti come la terra del lavoro, della libertà, delle nuove opportunità ma basta solcarne i mari per far diradare tutte le utopie ed andare incontro ad una verità dura che mostra l’inesistenza di quel paese dei balocchi che tutti desiderano raggiungere.
La Puglia, così come oggi la Sicilia, è stata dunque vista come la terra a cui aspirare per mettere in piedi una nuova vita, per riprendersi quella dignità calpestata e oltraggiata, per ritornare ad essere uomini con i propri diritti e i propri doveri; ventimila uomini si sono imbarcati per iniziare ad essere tutto ciò che nel proprio paese non sono mai stati ma le loro speranze, una volta arrivati in Puglia, si sono letteralmente infrante tra gli scogli per poi affievolirsi su quel molo e in quello stadio che per poco è stato la loro casa.
Nel 1991, così come oggi, ci si imbarca su delle navi precarie ed instabili per andare incontro all’ignoto e ad un mondo che in realtà non c’è e non c’è mai stato; oggi, come ieri, c’è chi sceglie di restare sperando che le cose possano cambiare e chi, invece, decide di rimpatriare rendendosi conto di aver lasciato il nulla per il nulla.
Annabella Muraca