Quando nasciamo siamo ‘femmine’, lo gridano ai vicini, ai parenti, agli amici. È femmina. Cresciamo e diventiamo donne, quindi mogli e madri. E poi basta. Immagino che sia questa la riflessione alla quale dev’esser giunta Anne Brontë guardando la propria vita, le quattro sorelle più grandi e il fratello scapestrato. Un’esistenza difficile, con un destino già tracciato da altre prima di lei, dalla tradizione asfissiante per una mente creativa e viva come la sua. Una donna poco meno che trentenne che per scrivere usava uno pseudonimo maschile e che, in tutta franchezza, conosceva il femminismo più a fondo di quanto possiamo saperne noi, giovani e meno giovani donne di un’epoca in cui abbiamo fatto conquiste per le quali non abbiamo neanche combattuto e sulle quali ancora barattiamo. Lo conosceva più a fondo, questo femminismo, questo orgoglio di essere donna, di appartenere a una metà del genere umano per nulla inferiore, sebbene costantemente schiacciata e sopita dalla bramosia maschile di prevaricare, si avere per sé la fetta migliore del creato. E sapeva bene di avere un valore diverso dall’ancestrale maternità al punto da non accettare l’oscurità impostale dagli uomini, ma affidando proprio a un uomo, un essere fittizio, il proprio grido d’indipendenza. Fu così che nel 1848 mise nelle mani di Acton Bell, il proprio io senza gonnella, la sua personale fiammella di rivolta e questi, senza esitare, diede alle stampe uno dei più profondi e avanguardistici romanzi sulla condizione femminile, ossia La signora di Wildfell Hall (The tenant of Wildfell Hall).
Con questo romanzo, da poco riproposto in Italia da Neri Pozza, Anne Brontë, la sorella meno conosciuta dell’irrequieto trio letterario, ha puntato il dito contro l’ingiusta sottomissione della donna, considerata oggetto o addirittura merce di scambio priva di sentimenti e passioni. La vicenda si apre con un mistero che avvolge questa nuova affittuaria, chiusa come uno scrigno e, allo stesso modo, protettrice estrema di un segreto amaro. Parola dopo parola, scoperta dopo scoperta, la Brontë ha allestito un romanzo crudele e tagliente, denso di risvolti che sconvolgono e, per certi versi, scandalizzano; in questo libro ci si conosce tutti, ma in fondo nessuno sa chi è la persona che ha al fianco perché “si può guardare nel cuore di una persona attraverso i suoi occhi e si può arrivare a conoscere l’altezza, la larghezza e la profondità dell’anima di un altro in una sola ora, mentre non ti basterebbe una vita per scoprirle se la persona non fosse disposta a rivelarle o se tu non avessi la sensibilità necessaria a comprenderle”.
Quest’autrice relegata in secondo piano, surclassata da uno pseudonimo che la dice lunga sulle proprie prigioni sociali, non usa mezzi termini, ma al contrario pizzica con estrema precisione le corde del lettore costringendolo a non perdere di vista la strada maestra che lo condurrà alla soluzione del mistero. Nessuna pietà viene mostrata per la cattiveria, per le menzogne e per i tradimenti. I peccatori, che sono tali non nei confronti di Dio bensì nei confronti dei loro simili, pagano per il dolore che hanno inflitto. La malvagità è smascherata e fatta a brandelli, ma il processo non è immediato, in quanto necessita della metabolizzazione, della consapevolezza dell’errore. E nel mezzo si fa largo il solco tracciato dalle gioie e dalle sofferenze della vita, ci sono le donne che combattono per non farsi seppellire vive in un mondo costruito dagli uomini per gli uomini. “A chi è dato meno, meno è richiesto; ma a tutti è richiesto di sforzarsi al massimo”.
Le donne che Anne Brontë tratteggia in questo romanzo non sono coraggiose e neppure intelligenti; esse si limitano ad alimentare quella naturale inclinazione a resistere alle intemperie affrontando il dolore armate sono di fiducia in sé stesse. Chissà se, a questo punto, La signora di Wildfell Hall potrà essere considerato alla stregua di un antesignano manifesto del femminismo. Magari sì, ma prima di tutto è un grido di rivolta che ci sospinge verso il futuro ricordando che “la possibilità di morire c’è sempre; ed è sempre bene vivere tenendola presente”.
Buona Giornata internazionale delle Donne!
Daniela Lucia