Cosenza-Non è bastato il freddo algido di fine novembre a raggelare il folto pubblico del Piccolo Teatro Unical, appagato dalla piéce teatrale “Giangurgolo”, diretta e adattata da un eclettico e come non mai brechtiano Max Mazzotta.
L’opera dà un meritato e rinnovato lustro alla maschera calabrese, snobbata il più delle volte dalla tradizione teatrale in favore dei suoi più noti cugini settentrionali consacrati dalla commedia dell’arte ma lo fa enucleando un meraviglioso melting pot di tradizioni teatrali differenti fra loro con spiccati elementi di modernità che la rendono seguibile e vispa, facilitando di gran lunga la comprensione ed il riconoscimento degli eventi, oltre a conferirle una comicità mai ritrita.
La vicenda di base, come lascia intuire il sottotitolo, è quella dell’Amleto ed è proprio il dubbio del principe di Danimarca ,il suo titubare, ad essere messo alla gogna, parodizzato all’estremo attraverso canti, fraintendimenti propri della commedia goldoniana, mimiche e dinamiche grottesche ed a tratti deliranti che esplodono sulla scena grazie a quello che è un canovaccio scritto dal regista ma digerito, metabolizzato, partorito dagli attori stessi, demiurghi estremamente autonomi dell’intreccio e della caratterizzazione dei personaggi, come ci ricorda la protagonista Francesca Gariano.
“L’opera diverte perchè siamo stati in primis noi a divertirci mettendola in scena” afferma l’attrice catanzarese di adozione cosentina, e quale miglior tratto distintivo di un così forte omaggio alla nostra tradizione e perchè no, alla nostra terra, del divertimento?
L’apparato scenico è il vero capolavoro della rappresentazione,nella sua essenzialità infatti, lascia percepire il magistrale lavoro di regia;la scena è in continua espansione e restringimento fino a culminare nell’epilogo che avviluppa lo spettatore con la sua metateatralità.
I cromatismi, i giochi di luci, i suoni minimalisti fanno da spina dorsale e commento a tutto il distendersi della commedia dettandole un ritmo serrato e d’impatto e intervenendo in una diegesi che è in continua pertinentizzazione.
Insomma, uno spettacolo che rappresenta un meraviglioso spaccato di ciò che ci piace del nostro paese, dei suoi dialetti, della sua goliardia, della sua tradizione, un’opera per tutti.
Pasquale Severino