PENTONE (CZ) – Storie di una tragedia ancora aperta, apparentemente lontane ma legate anche all’Italia e alla Calabria, di una sofferenza così grande e atroce che stenta a esprimersi in parole umane: sono raccontate nel libro ‘Impossibile gridare, si ulula. Storie di desaparecidos italo-argentini’. Il volume è stato presentato presso la sala consiliare del Comune di Pentone alla presenza di molti cittadini pentonesi e non solo. Dopo i saluti del sindaco, Michele Merante, oltre all’autrice, Rossella Tallerico, sono intervenuti Luigi Pandolfi (giornalista), Mario Occhinero (membro dell’associazione 24 marzo) e Claudio Di Benedetto, figlio di Filippo Di Benedetto, lo “Schindler” calabrese. Ha moderato il professore Vincenzo Marino.
Il libro dà un quadro della dittatura di Videla in Argentina, della cosiddetta Guerra Sucia, guerra sporca, un piano sistematico di repressione dell’opposizione mediante la pratica della desaparición. Ma dà spazio anche ai singoli, ai loro ideali e alle loro sofferenze attraverso l’analisi dei processi celebrati a Roma e la ricostruzione delle storie di vittime italiane e calabresi. L’interesse per il dramma dei desaparecidos, ha raccontato l’autrice, è nato quando, da adolescente, ha contribuito a una raccolta firme promossa da Amnesty International. Su questo tema si è focalizzata la sua tesi che, arricchita e ampliata, si è trasformata nel libro pubblicato. All’inizio è stato difficile leggere e ascoltare, ma poi Rossella Tallerico ha proseguito nel suo lavoro di ricerca. «La pratica della desaparicion merita di essere studiata, quale esempio storico tra i più esecrabili di violazione dei diritti e della dignità delle persone», scrive nel libro.
Nell’introdurre la serata, Vincenzo Marino ha rilevato che «dietro ogni numero e ogni storia, c’è una vita, una tragedia che non finisce con la fine della dittatura argentina, ma che continua ancora oggi». Il sindaco ha citato il ruolo degli altri paesi. Luigi Pandolfi ha fissato alcuni punti. Tra gli altri, il fatto che si ritrovino nomi italiani sia tra gli eroi come Filippo Di Benedetto sia tra gli antieroi (i militari), la coltre di silenzio poi rotta dal presidente Pertini, il peso delle motivazioni economiche, la necessità di riprendere questi temi e di farli conoscere soprattutto alle nuove generazioni. Secondo il giornalista, il libro di Rossella Tallerico «è un libro di storia e un libro di storie, ben documentato e ben scritto».
Per Mario Occhinero, «chi non ricorda il passato, è condannato a ripeterlo». Secondo l’esponente
dell’associazione 24marzo, è molto importante parlare dei desaparecidos in una sede istituzionale perché si tratta di vittime di terrorismo di Stato. Occhinero ha menzionato l’opera di sensibilizzazione fatta insieme a Rossella Tallerico per la riapertura di un caso. É giunto all’attualità dicendo che quanto ha fatto in 20 giorni dall’attuale presidente dell’Argentina comincia a destare preoccupazioni e che sta per cominciare un altro processo. Ha letto, inoltre, un saluto della sorella di Bellizzi, la cui storia è stata ricostruita nel libro.
Il volume comprende anche la storia di Filippo di Benedetto, lo “Schindler” calabrese che, insieme al console Calamai, aiutò molti italiani: un esempio di come il singolo possa fare la differenza rispetto a eventi che sembrano inevitabili. La sua storia è stata ripercorsa dal figlio, Claudio Di Benedetto. Il padre «fin da giovane è stato un idealista». Si impegna nelle lotte sindacali antifasciste che gli fanno conoscere il carcere di Castrovillari, nel 1947 diventa sindaco di Saracena. Nel 1952 emigra in Argentina come artigiano, ma «la sua passione è la politica». Negli anni della dittatura, del Piano Condor «studiato dalla CIA americana,» insieme al console Calamai, l’unico che in Ambasciata lo ascolti, ha salvato centinaia e centinaia di giovani facendoli espatriare, nascondendoli in luoghi sicuri e denunciando. Rischiando la sua sicurezza e quella dei suoi familiari.
Il libro ‘Impossibile gridare, si ulula’ è uscito a settembre 2015 nella Miscellanea di Studi storici del Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università della Calabria, per i tipi di Aracne. È corredato dalla prefazione di Carlos Cherniak, ministro plenipotenziario per la politica, la cooperazione e i diritti umani – Ambasciata della Repubblica argentina in Italia. Geraldina Colotti (Il Manifesto/Le monde diplomatique) lo ha considerato un «accurato lavoro, un prezioso contributo al dovere della memoria». In copertina, un dipinto di Salvador Gaudenti, Prohibido olvidar (proibito dimenticare).
Classe 1989, Rossella Tallerico nel 2013 ha completato gli studi universitari conseguendo la laurea magistrale in Filologia moderna. Nel 2015 ha vinto il Premio di Laurea Acat (Azione Cristiana per l’Abolizione della Tortura). Attualmente collabora con l’Ambasciata della Repubblica argentina in Italia e con l’Associazione “24 marzo”.
Durante i lunghi mesi di prigionia ho spesso pensato a come riferire il dolore provocato dalla tortura. E ho sempre concluso che non è possibile riuscirci. È un dolore privo di punti di riferimento, di simboli rilevatori, di segnali d’indicazione. L’uomo viene spostato così rapidamente da un mondo all’altro che non ha modo di attingere a una riserva d’energia per far fronte a tanta scatenata violenza. È questa la prima fase della tortura: cogliere l’uomo di sorpresa, senza consentirgli nessuna difesa. All’uomo, le mani vengono chiuse dai ferri, dietro la schiena; gli vengono bendati gli occhi. L’uomo viene sommerso da una gragnola di colpi. Viene buttato a terra e qualcuno conta fino a dieci, ma, non viene ucciso. L’uomo viene condotto a quella che potrebbe essere una branda, o un tavolo; viene denudato, irrorato d’acqua, legato alle estremità della branda o del tavolo, braccia e gambe allargate. E comincia l’applicazione delle scariche elettriche. È impossibile gridare, si ulula. Quando comincia il lungo ululato dell’uomo qualcuno con morbide mani gli controlla il cuore, qualcuno ficca una mano nella sua bocca per estrarne la lingua e impedire che l’uomo soffochi. Qualcuno introduce un pezzo di gomme nella bocca dell’uomo per impedire che si morda la lingua o che si distrugga le labbra. Una pausa breve. E poi tutto comincia daccapo. Questa volta accompagnato da insulti. Una pausa.
E poi le domande. Una pausa. E poi parole di speranza. Una pausa. E poi insulti. Una pausa. E poi, le domande
Testimonianza di Jacobo Timerman (giornalista, sopravvissuto alla dittatura)