COSENZA – Tennis e pochi aggettivi. Il tennis è narrazione, pura drammatizzazione di un duello che avviene, brutale, in pochi scambi, e lascia ad ogni punto un perdente e un vincente sul terreno di gioco. Così era la scrittura di Alessandro Bozzo: essenziale, lapidaria, epidittica. “Frasi corte e pochi aggettivi”.
Ad un anno dalla sua scomparsa- era il 15 marzo del 2013- amici e colleghi di lavoro ricordano Alessandro Bozzo con una pubblicazione a più mani dal titolo “Sacro fuoco. Storie di libertà di stampa” curata da Tommaso Scicchitano. Il volume si avvale del contributo di undici giornalisti e, nella sua particolare eterogeneità, compone un affresco sulla libertà di stampa in Calabria e sulle trame complesse che si intrecciano nella pubblicazione di una notizia o nella sua manipolazione o, addirittura, nella sua omissione. La manipolazione delle notizie è consuetudine in molte redazioni d’Italia, e la Calabria veste la maglia nera. Alessandro Bozzo ha pagato in prima persona l’opposizione a questa nefanda e nefasta consetuidine. Lui, capace di appiccare il sacro fuoco della passione giornalistica nell’animo di compagni di viaggio più timorosi .
Dunque “queste pagine – scrive Tommaso Scicchitano nella presentazione – hanno l’intento di dare voce a chi paradossalmente dovrebbe darla, strappa quel velo ipocrita che vorrebbe farci credere che la libertà di stampa è garantita. L’unica verità che c’è da sapere sull’informazione è che la verità è garantita dalla passione del giornalista, il quale si trova a dover lottare contro la tentazione di autocensura, contro il direttore richiamato dall’editore accusato a sua volta dal politico, contro chi non vuole dare le notizie, contro le querele facili e le richieste di risarcimento danni stratosferiche, spesso contro la paura di prendere un buco”.
Nelle pagine della sinossi Rosamaria Aquino racconta delle tribolate condizioni di lavoro dei cronisti calabresi e dell’abitudine alle ingerenze dell’editore e dei politici suoi sodali. Una sciagurata abitudine che porta alla censura self made, la piaga verso cui si ha il dovere morale di reagire. I giornalisti che non fanno i giornalisti si devono sentire in colpa. Mestiere complicato quello del cronista, perché alcune volte si è tenuti a condurre delle controinchieste sulle verità ufficiali offerte dalla procura e dalla stampa pigra – come spiega Arcangelo Badolati. Gabriele Carchidi ripercorre le prime stagioni di “Calabria Ora”, mostrando,senza peli sulla lingua, la pressante influenza dell’editore. Marco Cribari invita ad amare la verità, l’autentico :la verità vale più della libertà perché si può anche essere liberi di scrivere cose non vere. L’affetto degli amici, per Alessandro, è vivissimo. Eleonora Formisani ricorda la sua meticolosità, il suo “voler vederci chiaro”. Eugenio Furia mette a fuoco l’Alessandro compagno di scrivania, in redazione, i consigli dati, i suoi convincimenti, le sue arrabbiature, i suoi slanci purissimi. Sacro fuoco della passione per la scrittura e per il racconto giornalistico. E per il tennis, anche. E per il Canada, e per Donnici. L’obbligatorietà della sincerità e dell’esattezza, nella cronaca giudiziaria, emerge nella nota di Roberto Grandinetti, “avversario” di Bozzo nei corridoi della procura. La voglia di raccontare le “cose come stavano”, e non come qualcun altro avrebbe preferito, è la protagonista delle storie narrate da Camillo Giuliani e da Pablo Petrasso, storie coinvolgenti che mostrano cosa sia l’urgenza della verità e come non sia sopprimibile. Lucia Serino fa notare, con accortezza, che in questo mondo popolato dai social, dove tutti siamo bravi a condividere, è fondamentale chiedersi chi va a scovare i contenuti scomodi. C’è sempre un giornalista coraggioso che va a smuovere la crosta che copre le cose che qualcuno vuole tenere all’oscuro. Poi siamo tutti bravi a condividere. Conclude Alfredo Sprovieri, con uno schizzo che racchiude tutto Alessandro: «Frasi corte e pochi aggettivi, cazzo».