Quarantennale Legge Basaglia, la vergogna dei manicomi nelle fotografie di Vallinotto in mostra al BoCs Art

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Foto "Matti"

COSENZA – Un pugno nello stomaco che riporta ad anni davvero bui dai quali tutt’oggi, forse, pur nella totale assuefazione al tragico dei tempi moderni, non è stata espiata la colpa sociale. La mostra “Matti – dall’emarginazione all’integrazione a 40 anni dalla Legge Basaglia” inaugurata a Cosenza il 23 novembre e ospitata nel BoCs Art Museum di San Domenico fino al prossimo 12 dicembre, riporta indietro di 40 anni o anche di millenni, ricordando l’esistenza di luoghi-lager, avamposti della disumanità poi chiusi  finalmente grazie alla legge 180 del 1978, meglio conosciuta come “Legge Basaglia”, dal nome dello psichiatra che ne ispirò i principi. L’unica colpa dei poveretti di ogni età che entravano in quelle prigioni era solo di soffrire di un disturbo psichiatrico, a volte neanche quello, magari si trattava di bimbi troppo vivaci oppure di orfani allontanati dalle famiglie e inghiottiti in reparti dimenticati da cui quasi mai si usciva vivi. La mostra porta la firma di Mauro Vallinotto, fotografo e cronista che immortalò i “pazzi” rinchiusi a Collegno, le donne di via Giulio e poi piccoli sfortunati, bollati come “ineducabili”, della famigerata Villa Azzurra. Appunto dalla pubblicazione sull’Espresso delle foto-denuncia di quei bambini, legati mani e piedi, nudi, come il ferro dei lettini a cui li avevano legati, e dal conseguente intervento della magistratura, cominciò il percorso che in seguito, con la Legge Basaglia, portò allo smantellamento dei manicomi. Dopo la reclusione insensata e barbara, arrivarono le cure sanitarie e la strada dell’integrazione.

Si entra nel chiostro di San Domenico e si atterra su un pianeta lontano, angosciante. Gli scatti in bianco e nero mostrano subito la crudezza di ciò che l’uomo può. Letti insanguinati che fungevano da giacigli giornalieri e notturni, sporcizia, cinghie. Si trattiene il respiro, si passa avanti. Ed è sempre peggio, di fronte a sguardi persi nel vuoto, sorrisi inconsapevoli, occhi che chiedevano aiuto senza riuscire a parlare. L’esposizione di questo spaccato atroce e realista dell’Italia che fu, nasce dalla collaborazione tra l’Amministrazione comunale e il Centro di solidarietà Delfino onlus, un’iniziativa voluta fortemente dal sindaco Mario Occhiuto e dal vicesindaco e assessore alla Cultura Jole Santelli, oltre che dal presidente del Delfino onlus Renato Caforio.

Le parole della grande Camilla Cederna che accompagnano la foto posta all’ingresso, introducono a un racconto per immagini che lascia senza fiato: “Da quando si è aperto questo reparto ventidue ricoverate sono state dimesse”. Di una gita al mare narrava la cronista nel suo articolo “Gli alienati siete voi”, pubblicato sull’Espresso il 13 luglio 1969. Un’esistenza senza censura sulla posta o senza l’obbligo dell’uniforme era inimmaginabile per quei soggetti fragili, così come potersi “alzare all’ora che si vuole, ascoltare il giradischi, indossare mutande e reggipetti”. Si scorre avanti, si legge: “Siamo passate dalla morte alla vita, prima dovevamo imparare persino a respirare come volevano loro”. Il giornalista Gabriele Invernizzi nel 1970 ancora sull’Espresso riferiva della storia di “Un tale di nome Ignazio”, morto ufficialmente per collasso cardiocircolatorio ma era da giorni prima della sua scomparsa che veniva legato al letto di ferro. L’indagine però si chiuse troppo presto, come centinaia e centinaia di altre che non approdarono alla vera verità di ciò che si consumava in quegli isolamenti sanitari della vergogna. Rita ad esempio aveva una famiglia numerosa e venne mandata in collegio, litigò con una suora e per questa banalità si ritrovò rinchiusa in un manicomio dal quale uscì grazie a due psichiatri rivoluzionari. Non era tardi dunque per capire il sapore della vita: il parrucchiere al sabato, il caffè nel bar sotto casa, i regali per i nipoti degli amici. Viene il magone a entrare in un contesto del genere, si viene colti da un senso di colpa retroattivo che invita al guardare “l’altro”, oggi. Diceva Franco Basaglia: “Non è importante tanto il fatto che in futuro ci siano o meno manicomi e cliniche chiuse, è importante che noi adesso abbiamo provato che si può fare diversamente, ora sappiamo che c’è un altro modo di affrontare la questione, anche senza la costrizione”.

L’ingresso alla mostra è gratuito, per l’occasione è stato stampato un catalogo con gli scatti che sono visibili da questo 23 novembre, giorno – per puro caso – del “Black Friday” mondiale, a testimonianza che sono esistiti, e non dovranno mai più esistere, altri tipi di venerdì neri.

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