COSENZA- Per chi come Anna Rosa Macrì ha raccontato da sempre le vite degli altri e le storie di migliaia di persone, è divenuta quasi un’urgenza e un dovere raccontare la sua storia e quella della sua famiglia che diventano, a loro volta, la storia di tante altre persone, se è vero come è vero che nel racconto pubblicato dall’ottobre scorso per i tipi della Rubbettino editore, si riflettono esperienze di vita e ricordi di ognuno di noi, tale e tanta è l’universalità dei temi affrontati in “Da che parte sta il mare”, questo il titolo del romanzo vergato dalla Macrì.
Per oltre 36 anni apprezzatissima giornalista della Rai calabrese, alla quale approdò nel 1978, unica ad avere avuto il privilegio di lavorare a stretto contatto di gomito con Enzo Biagi, Anna Rosa Macrì è anche autrice di un bel pugno di libri, meritevoli di particolare considerazione, ma di cui l’ultimo rappresenta forse il suo momento più alto. Ora che ha preso commiato dalla RAI, dal settembre scorso, ma nessuno può considerarla veramente in pensione, perché i veri talenti come lei in pensione non vanno mai, accompagna volentieri il suo libro in giro per la Calabria, con l’attenzione e le cure amorevoli dovute ad una storia speciale, quella “di un pezzo di Sud e di un pezzo di Calabria” tratteggiati nella seconda metà del secolo scorso, poco prima del boom economico.
Nel suo giro Anna Rosa Macrì e il suo libro sono stati intercettati dalla Commissione cultura di Palazzo dei Bruzi che ha voluto tributare alla giornalista calabrese, originaria di Melito Porto Salvo, ma cosentina d’adozione, un significativo omaggio, attribuendole un riconoscimento per il complesso della sua attività.
La cerimonia si è svolta nel salone di rappresentanza di Palazzo dei Bruzi. La seduta speciale della Commissione cultura è stata introdotta dal Presidente Claudio Nigro, presenti, tra gli altri, la Vice Presidente Maria Lucente che ha brillantemente svolto il compito di relatrice, e i consiglieri Mimmo Frammartino e Francesco Perri.
Alla cerimonia hanno preso parte anche il capo ufficio stampa di Palazzo dei Bruzi Elena Scrivano, alcune colleghe della sede regionale RAI, la regista Brunella Eugeni e Adriana Manna della segreteria di redazione, più un gruppo di affezionate lettrici di Anna Rosa Macrì che la seguono un po’ ovunque.
La relatrice Lucente ha messo in evidenza “la particolare osmosi sollecitata dal libro che solo chi sa scrivere può determinare. Si dimentica di essere lettrice e si diventa protagonista.” E la Lucente ha colto moltissime analogie tra il romanzo di Anna Rosa Macrì e alcune esperienze del suo vissuto, quando anche lei, come la giornalista, era bambina e viveva con trepidazione e speranza quegli anni tra il dopoguerra e il boom.
Per Maria Lucente il romanzo di Anna Rosa Macrì è “un tuffo nel vissuto interiore, descritto con una solarità unica che regala spaccati di emozione, recuperando sensazioni, suoni e rumori.”
La giornalista si dice “commossa come non mai e orgogliosamente contenta della cerimonia per l’alchimia di sensibilità che si sono incrociate”. Cosentina d’adozione, la Macrì racconta del suo arrivo a Cosenza nel 1978, dopo un lungo peregrinare tra Milano, Roma, Frosinone. “Da Reggio non si veniva a Cosenza. E’ con l’Università che comincia la mescolanza tra calabresi e calabresi. Sono tornata in Calabria facendo un giro molto lungo. E’ Cosenza che in un certo senso mi ha chiamata.” E ripercorre con la mente l’arrivo in stazione, il primo pernottamento all’Hotel Imperiale che oggi non c’è più.
Come Cesare Pavese dice nel “Mestiere di vivere”che ci sono città madri, città sorelle e città amanti, Anna Rosa Macrì paragona Cosenza a una sorella. “Senza appartenerci troppo, sono stata bene qui, un po’ da immigrata, un po’ da straniera, un po’ da estranea.
Ho fatto il mio mestiere stando molto dentro alle cose e molto fuori per ben 36 anni.
Non ho appartenenze se non quella cocciuta ad una sinistra che ho cominciato a frequentare durante il ’68 milanese.”
Questa sua non appartenenza “nè ad un partito, nè ad un gruppo, nè ai potenti”, è anche il suo orgoglio ed insieme la forza della sua libertà, della sua leggerezza e serenità.
A Cosenza non ha parenti, “nè vivi, nè morti” eppure è rimasta qui. In un rapporto da sorella a sorella. Eppure avrebbe potuto raggiungere i suoi figli che adesso sono altrove, dopo aver studiato qui.
Del suo lavoro di giornalista ricorda il gusto, la curiosità e la passione con cui lo ha svolto. Preferisce glissare, quasi in un moto di pudore e insieme di rispetto, sull’incontro professionale con Enzo Biagi di cui tutti sanno e che forse e senza forse è stata la gratificazione più grande di una carriera costellata di apprezzamenti, servizi memorabili, pagine significative, da incorniciare, ma anche di qualche amarezza che ha fatto in fretta a dimenticare, “perché bisogna pensare in positivo anche sulla ripresa del Paese e sul futuro dei nostri figli”.
Quando arriva il momento di parlare del suo libro più recente, “Da che parte sta il mare”, dice che “tutti i libri sono autobiografici e al tempo stesso non lo sono”.
Non ci vuole molto, però, a capire che la bambina di otto anni al centro del romanzo certamente le somiglia tantissimo. Quella raccontata nel libro è “una Calabria molto povera in cui mancava quasi tutto e nella quale vive questa famiglia piuttosto complessa con un padre sognatore che voleva fare il giornalista a tutti i costi e per questa ragione aveva lasciato il posto fisso, abbandonando con la sua scelta le convenzioni piccolo-borghesi, diventando quasi un irregolare.”
Siccome soldi in casa, con questi sogni di carta, non ne arrivavano tanti, è la madre, insegnante e latinista, a prendere sulle sue spalle le redini della famiglia, a maggior ragione dopo la morte prematura del padre.
Ed è la stessa figura materna a prendere per mano la famiglia e le altre quattro donne di casa tenendo le sue lezioni private, anche quando la cecità le aveva tolto ogni possibilità di leggere, a intere generazioni di ragazzi di Reggio Calabria, ricchi e poveri, i primi che potevano permettersi di pagare la lezione, gli altri che in cambio lasciavano due uova. Ed è attorno al grande tavolo da pranzo che riuniva tutti i suoi allievi, insegnando loro, comprese le proprie figlie, che con la cultura si può cambiare il mondo perché la cultura dà da mangiare e fa diventare liberi.
E che la storia che ha raccontato ha i tratti dell’universalità Anna Rosa lo ha capito da un pezzo e, una volta di più quando ha ricevuto la mail di una lettrice americana che le ha scritto dal Connecticut dopo essere stata, nell’ottobre scorso, alla presentazione romana del libro.”Ma lei ha raccontato la mia storia!”- ha scritto nella mail.
Sì, è proprio così.