Cosenza – Continua il progetto Isole in rete e continua la faticosa scalata alla ricerca dell’identità; una ricerca insidiosa, tortuosa e costruttiva che, ieri pomeriggio, è passata attraverso i corpi dei ballerini della Sanpapiè -Milano che, con lo spettacolo “Io sono figlio”, hanno riempito di colori e “sapori” nuovi il palco del Teatro dell’Acquario.
Un viaggio onirico che si è mosso tra corpi, musiche e tematiche forti, difficili non solo da “digerire” ma anche da trattare perché chi interpreta corre il rischio di cadere nel grottesco; un rischio che i tre danzatori non hanno mai sfiorato; sono infatti riusciti a rendere proprie queste tematiche e a trattarle con quella delicatezza di cui la danza è portatrice. Un lavoro di autoanalisi che ha permesso ai ballerini di fondersi con le tematiche trattate e trasformarle in una parte di sé necessaria come i polmoni, come il cuore, come l’aria per la sopravvivenza del proprio corpo.
Tre ballerini alla ricerca disperata di ciò che li identifica come uomini; tante domande che arrovellano il corpo e la mente ma poche e sconsolanti risposte. Si danza, si vola, fin quando il sogno non viene interrotto da voci fuori campo di bambini che insistenti e petulanti chiedono “Chi sono?” “Dove sono?” “Di chi sono figlio?”. Di certo non siamo più figli dei nostri genitori, la società ci ha strappato dalle loro braccia e ci ha adottati rendendoci figli di tutti e di nessuno.
Le voci continuano perentorie ricordandoci che ormai siamo figli di una società che ci vuole omologati e sempre alla moda, con le scarpe nike sotto il pantalone adidas; veline mute che sfoggiano tante gambe e poco cervello, modelli e modelle dal fisico perfetto ma senza sorriso; siamo figli delle lotte a difesa dei diritti umani ma, nello stesso tempo, siamo figli dei soprusi, degli incidenti domestici, degli omicidi e dei casi irrisolti. Siamo ormai diventati volti che “passano” al telegiornale e riempiono le pagine di cronaca, volti senza più un’identità che è stata ormai violata, sfruttata, conformata al consumismo e alla superficialità di una società che ci vuole senza pensieri, senza istruzione, senza arte e né parte perché ciò ci rende appetibili “schiavi” di una politica che ha trasformato la cosa pubblica in cosa privata.
I ballerini continuano a muovere i propri corpi indossando il naso rosso per interpretare un pagliaccio che gioca con un palloncino, un pagliaccio spento dentro ormai incapace di trasmettere gioia; il suo volto è triste come quello di tanti altri uomini che vivono senza stipendio, senza pensione, senza lavoro, senza più lacrime da versare per un paese ormai in rovina. Siamo ormai diventati come quel palloncino rosso che viene bucato, calpestato, sgonfiato, usurpato ma che, nonostante tutto, riesce sempre a trovare la forza di lottare per difendere i propri diritti.
Ed ecco che ritornano le voci dei bambini, delle nuove generazioni che forse del futuro non potranno più parlare, voci che fanno eco ai pensieri dell’intera umanità “Di chi siamo figli? Siamo figli del ’68, siamo figli del nazismo, siamo figli del qualunquismo, siamo figli dell’incertezza del futuro, siamo figli del trasformismo politico, siamo figli di puttana”.
Annabella Muraca