“Il segno clinico di Alda” è il titolo dello spettacolo tra poesia e canto andato ieri in scena sul palcoscenico del teatro Rendano di Cosenza. In occasione della giornata internazionale della poesia l’Assessorato alla cultura della Regione Calabria e del Comune di Cosenza, hanno presentato al pubblico undici capolavori inediti che Alda, genio tormentato dalle “ombre della sua mente” ha dato in dono al poeta calabrese Michele Caccamo. La penna di Taurianova ci conduce per mano nella ri-scoperta del mondo della poetessa “diversa” che lui stesso aveva incontrato nel 1997 nell’aula consiliare del Comune della provincia di Reggio Calabria.“Ci siamo divisi la pazzia e la bellezza”, così l’autore spiega il motivo della sua scelta teatrale. Frammenti di un viaggio immaginario tra follia, amori struggenti e scrittura che mette al centro della scena l’inquietudine nervosa di Alda Merini, poetessa dei Navigli. La piece curata dal regista Martino Palmisano ha come voce narrante lo stesso Michele Caccamo, l’attrice, nonchè firma dell’adattamento teatrale è Luisella Pescatori mentre il cantautore-paroliere è Edoardo de Angelis. La sceneggiatura essenziale: un leggio e una scrivania con sopra dei fogli (per sottolineare come l’attività dello scrivere della poetessa fosse presente anche all’interno del manicomio). Raccontati con musica, parole e gesti i dieci orribili anni di internamento (dal 1962 al 1972) presso la clinica psichiatrica del “Paolo Pini”. Furono per la scrittrice un periodo di buio e silenzio: “Con questo buio ogni cosa può essere messa in dubbio, il buio è morbido”; non a caso lo spettacolo si apre con una Merini che urla disperata: “Ci sto male al buio! Avrei voluto essere una sostanza celeste, una facoltà di luce. Mi hanno legata con le fascette, bruciato nervi e dita. Mi hanno chiuso gli occhi”. Alda descrive i medici come fanatici dell’elettricità che riempivano i vuoti d’amore con i farmaci; “ci candeggiavano la mente” scrive. La sofferenza e l’angoscia della donna sono state interpretate magistralmente da Luisella Pescatori che con frequenti entrate ed uscite di scena ci ha presentato un’Alda completa: ansimante, in lacrime, disperata, divertita, che gioca con fiori e bolle di sapone. Da qualcuno venne definita pazza: “Mi hanno detto pazza e gonfiata come un’ape”. Dal dolore e dall’inganno i suoi versi hanno preso forma: follia, morte, amore e religione sono definizioni che la poetessa ha vissuto sulla propria pelle e ci ha trasmesse tra righe crude ma intense. “Io vivevo in due tombe: una la mente, l’altra il corpo”. Il suo fu un cuore andato in fumo per sfortunati amori; dallo scrittore e critico letterario Giorgio Manganelli a Ettore Carniti, proprietario di alcune panetterie di Milano, con il quale avrà un rapporto carnale e burrascoso, intervallato dalla nascita delle quattro figlie, “le mie colombe, delle quali fui privata” Alda visse l’amore come tormento, sentimento esasperato. Amore onnipresente e ossessivo: “Titano è la mia croce. Ogni notte con lui si trasforma in arcobaleno”. Amore disperato, che grida aiuto e nasce anche all’interno di un posto impensabile come il manicomio: “Quando volevamo fare l’amore ci nascondevamo dagli infermieri… eravamo maschere da bordello”. La parte più commovente dell’atto unico è la descrizione della follia: “La follia è la dittatura impietosa raggiunge la mente con lenta progressione. Avanza come la ruggine poi si gonfia e fa scoppiare le vene in testa. Si spengono le idee. Ogni cosa fa sentire la sua rabbia. La follia mette paura agli uomini”. Alda Merini e la sua sensibilità schizofrenica facevano paura. “Mi hanno soffocata e indurita come una pietra… pur di demolire la mia poesia”. Nonostante la sua cartella clinica abbia fatto di lei una folle, oggi Alda Merini vive nelle pagine della migliore letteratura poetica regalando emozioni e sogni.
Rossana Muraca