In occasione dell’uscita del suo nuovo album “Sirene Vetri Urla e Paperelle“, disponibile già da ieri 7 aprile in tutti i negozi di dischi, abbiamo fatto una chiacchierata con Alessio Calivi, cantautore reggino trapiantato a Milano. L’artista ci ha illustrato il suo ultimo lavoro, parlandoci delle sue aspirazioni e ispirazioni, dipingendo un fedele e schietto quadro di sé e della propria musica. L’album, una noise ballad con il sapore del viaggio mitteleuropeo, una sorta di biglietto di andata e ritorno da Milano a Berlino, è un fascio di suoni duri e complessi, intervallati da vibranti chitarre distorte e rafforzati da una voce graffiante e profonda.
Sei stato definito cantautore noise e polistrumentista. Ma chi è Alessio Calivi visto da Alessio Calivi?
A.C. – Alessio Calivi è un musicista autodidatta con la passione per la musica, il ritmo principalmente. Sono nato come cantante, ma ho dovuto rimboccarmi le maniche per arrivare a un sound (che ancora non c’è) ricercato. Mi piace esplorare generi e suoni, perché non si può essere musicisti ‘fissati’. Non concepisco questa categoria, se esiste. Gli “strumenti” sono definiti tali proprio perché sono un mezzo. Poi il loro utilizzo è soggettivo. Si può comunicare o anche no. Io cerco di farlo a modo mio, secondo le mie voglie e ispirazioni.
Il tuo album “Sirene Vetri e Paperelle” è uscito il 7 aprile, a cinque anni dal primo lavoro da solista “Forme e stati”. Cos’è successo, musicalmente parlando, tra il primo e il secondo lavoro? Cosa ti sei portato dietro e cosa, invece, hai lasciato alle spalle?
A.C. – Cinque anni sono tanti. In questo periodo ho scritto, cancellato, preso appunti e scartato. Ho suonato in altre band, cito i Johndoe, i Miavagadilania, gli Other Voices, ecc. Ho suonato e accumulato esperienze diverse tra loro. Ho assorbito il meglio di questi musicisti o almeno ci ho provato. Ripensando al primo disco, c’è uno scarto di chitarre, in minor numero rispetto al passato. Ho cercato di dare spazio ad altri tipi di suoni e strumenti. Più o meno distorsioni di prima…? Dipende dal tipo di pezzo, di testo. Non ho una regola basilare. Ammetto però di scrivere spesso i testi dopo aver realizzato una parte di musica. Ma non è un mio vincolo. Ad esempio, “Per le tue mani” è nata qualche giorno prima di entrare in studio, di getto. Capita…!! (Ride, ndr)
Il nuovo album è stato presentato come un viaggio di andata e ritorno tra Milano e Berlino. Alla luce anche delle tue scelte personali, che significato hanno per te la ‘partenza’ e il ‘ritorno’?
A.C. – Il nesso di questo viaggio “Milano – Berlino” è strettamente legato alla prima traccia. Rispetto al primo lavoro ho cercato di non dare troppo peso alla collocazione temporale degli eventi. L’album raccoglie sogni, visioni, sensazioni ed emozioni varie, sparpagliate nel tempo. La musica ha poi dettato la posizione dei brani nel disco. Andare, partire, fa parte della mia esistenza. Sono molto suggestionato dai luoghi in cui mi trovo e scrivo. Infatti spero di poter variare nel tempo la mia musica, in base ai luoghi, alle atmosfere e alle culture in cui potrò ritrovarmi. Poi alla fine potranno sempre esserci dei riferimenti musicali (passato-ritorno) scolpiti in me, ma credo sia una situazione abbastanza comune.
In bilico costante tra il new wave e il rock noise, i tuoi testi e la tua musica si presentano come esplosioni di rabbia, ma anche di dolcezza mai melensa e di desiderio di scoperta. Da dove nasce questo turbinio di sentimenti ed emozioni? E in che modo si trasforma poi in parole e musica?
A.C. – Credo che sia tutto frutto del vivere quotidiano, che a modo mio riciclo e interpreto. Spiegare la mia rabbia sarebbe riduttivo in due righe, infatti ci faccio album interi sullo sfogo. Perché alla fine è quello, sfogarsi. In “Tutto bene?” si parla appunto di… Va tutto bene? Non mi pare. Quindi quello è un appiglio per poi scriverci un testo. Passando poi successivamente a temi come l’amore o la fedeltà. Temi che cerco, a volte, di affrontare in modo distante, mentre altre volte, in modo diretto e senza mezzi termini. C’è molto contatto tra persone semplici in questo disco. Rapporti genuini nel bene e nel male, che servono tanto a crescere quanto a distruggersi l’uno con l’altro. Vedi “Joege & Sheis”.
Quanto è presente la Calabria, terra natale, nella tua musica?
A.C. – La Calabria… che dire… C’è tanto di me in Calabria. Una terra strepitosa, ambigua, dove sono cresciuto e dove mi piacerebbe realizzare i tanti progetti che frullano nella mia testa. Ci torno spesso e volentieri, soprattutto per ripagare con affetto i sacrifici fatti dalla mia famiglia per aiutarmi in quest’avventura. Devo tutto a loro e alla loro buona coscienza.
Considerando l’uscita dell’album e tenendo presente che il singolo ‘Storia Stonata’ ha già incontrato un grosso successo di pubblico, è stata messa in cantiere la programmazione di un tour?
A.C. – Sì, tra pochissimo partiremo con una serie di presentazioni. Inizieremo da Milano per poi fare tappa a Bologna e proseguiremo fino a settembre, quando si partirà con il tour vero e proprio.
Daniela Lucia