Nasce il 15 aprile 1895 a San Luca (Reggio Calabria), un piccolo paese sul versante ionico dell’Aspromonte. Il padre, maestro elementare, è fondatore di una scuola serale per contadini e pastori analfabeti; la madre proviene da una famiglia di piccoli proprietari. A San Luca trascorre un’infanzia felice, fortemente influenzato dal padre da cui riceve la prima istruzione e gli fa conoscere profondamente la natura, gli uomini e la tradizione della sua terra. Terminate le scuole elementari è mandato a proseguire gli studi nel prestigioso collegio di Mondragone, a Frascati. Tuttavia, nella sua memoria di scrittore, il paese natale, l’ambiente umano e sociale della sua regione, con i miti e le tradizioni di una gente ancora legata a strutture economiche quasi primitive, non si cancellarono; si fissarono anzi come un elemento fondamentale d’ispirazione e formarono il più ricco sedimento di valori poetici e morali nella coscienza di scrittore dell’Alvaro.Durante gli studi superiori si dedica con grande passione alla letteratura, approfondendo soprattutto le opere degli scrittori allora più noti e ammirati quali Carducci , Pascoli e D’Annunzio e compone lui stesso molti racconti e poesie. Nel 1914 pubblica le sue prime poesie su “Il nuovo birichino calabrese”. Nel gennaio del 1915 è chiamato alle armi come ufficiale di fanteria. Viene ferito alle braccia nella zona di San Michele del Carso e sarà anche decorato con la medaglia d’argento. Nel primo dopoguerra collabora al “Resto del Carlino” di Bologna, pubblicandovi i primi racconti, e successivamente è assunto al “Corriere della Sera” a Milano. Nel 1922 è chiamato come redattore al “Mondo” di Giovanni Amendola. Dopo il delitto Matteotti è tra i cinquanta firmatari dell’Unione nazionale delle forze democratiche guidata da Amendola. A partire dall’estate del ’24 sulla rivista umoristica “Il becco giallo”, che non risparmia critiche al regime, si occupa con lo pseudonimo V.E. Leno della rubrica “Sfottò”. Su “La Stampa” del 14 gennaio 1927 pubblica le pagine iniziali di “Gente in Aspromonte”. E’ oggetto di attacchi da parte dei giornalisti fascisti, ma declina l’invito fattogli da amici francesi ad andare a Parigi. Alla fine del ’28 parte per Berlino e segue attentamente la vita culturale tedesca. Rientrato definitivamente a Roma continua a collaborare con “la Stampa” e pubblica le raccolte di racconti “Gente in Aspromonte”, “La signora dell’isola” e il romanzo “Vent’anni”. Fino alla caduta del fascismo, Alvaro si mantiene comunque lontano dagli ambienti del potere e riesce a continuare con una relativa tranquillità la sua opera narrativa e saggistica. Nel gennaio del ’41 torna per l’ultima volta a San Luca per i funerali del padre. Tornerà invece più volte a Caraffa del Bianco (Reggio Calabria) a far visita alla madre e al fratello don Massimo, parroco del paese. Nel secondo dopoguerra esce “L’età breve”, primo romanzo del ciclo “Memorie del mondo sommerso”.
Vive e lavora tra Roma, nell’appartamento di Piazza di Spagna, e Vallerano, in provincia di Viterbo, dove ha una grande casa in mezzo alla campagna. Muore prematuramente a Roma il mattino dell’11 giugno 1956, lasciando alcuni romanzi incompiuti e altri inediti vari.
CURIOSITÀ
♦Il mondo dell’infanzia, dell’adolescenza, i luoghi stessi delle sue origini si riverberano, talora, nei modi di una favolosa trasfigurazione in romanzi come “l’Età breve” e “Mastrangelina”, in un racconto lungo come “Gente in Aspromonte” e in molti altri di minore estensione, nonché in saggi e pagine autobiografiche; affiorando non solo come fondo mitico di lontane esperienze, ma come sentimento di umana, consapevole partecipazione morale in personaggi e situazioni di romanzi e racconti dettati dai successivi contatti di Alvaro con la vita e la cultura dell’Europa contemporanea.
♦Anche il periodo precedente alla prima guerra mondiale fu determinante per la sua formazione intellettuale: trapiantato in una realtà cittadina assai diversa da quella dei paesi della sua infanzia, egli scopriva gli aspetti di una civiltà matura e complessa alla cui elaborazione i suoi conterranei erano rimasti forzatamente assenti o vi avevano solo parzialmente contribuito, senza loro vantaggio. Una società nella quale i contatti umani si presentavano per lui più difficili, e in ogni modo non riducibili alla misura dei rapporti in gran parte elementari della sua umile gente. Si delineavano in tal modo nella coscienza dell’Alvaro i termini di quel problema meridionale dietro il quale egli percepiva la storica frattura dell’Italia postrisorgimentale, ma che allora poteva sentire anzitutto come conflitto individuale e suo personale, di giovane studente meridionale perduto col bagaglio di una educazione umanistica e tradizionale di cui avvertiva forse ancora confusamente i limiti e le insufficienze, nel corpo di un paese indifferente, se non ostile, alle sue esigenze, e che egli doveva affrontare vincendo anche le difficoltà di un linguaggio così diverso da quello allusivo della società dalla quale proveniva. Questo assillo, tipicamente meridionale, verso la conquista di uno strumento espressivo valido anche come mezzo di una effettiva liberazione da una condizione plurisecolare di subordinazione e per l’acquisto di una coscienza civica, nazionale e morale, era da lui in gran parte ereditato dal padre, la cui figura Alvaro evoca spesso nella sua opera di narratore e di diarista, cosi fittamente intessuta di ricordi e riferimenti familiari, o ricrea in personaggi emblematici come quello di Filippo Diacono, padre di Rinaldo, protagonista dell’ ”Età breve” e di “Mastrangelina”.
♦La fama dello scrittore s’impose definitivamente nel 1930, anche fuori d’Italia, con l’altra raccolta di racconti “Gente in Aspromonte”, la sua opera più celebre, (riedita nel 1931 e una terza volta nel 1955), e con il romanzo “Vent’anni” (una nuova edizione ampiamente riveduta fu pubblicata nel 1953), cui toccò il Premio de La Stampa. Il lungo racconto che apre e dà il titolo alla raccolta suddetta è forse la testimonianza lirico-narrativa più alta del legame di Alvaro con la sua terra.
♦La Regione Calabria ha acquistato dei manoscritti di Alvaro conservati a Roma e li ha donati alla Fondazione Corrado Alvaro, che ha sede a San Luca (RC). Presso la Biblioteca Pietro De Nava di Reggio Calabria in sua memoria è stata istituita la Sala Corrado Alvaro che contiene gli arredi, i tappeti, i quadri e i libri dello studio dello scrittore, donati dalla moglie Laura e dal figlio Massimo.