CRITICANDO: Italo Svevo, Una Lotta: analisi e commento

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Il racconto venne pubblicato per la prima volta nel 1888 a puntate nell’elzeviro dell’ “Indipendente” (giornale triestino fondato  nel 1877), che consentì all’autore un immediato inserimento nelle cerchie letterarie dell’epoca.

Il  testo analizzato è uno degli esperimenti incipitari del giovane Svevo, risalente al periodo in cui ancora soleva usare lo pseudonimo Ettore Samigli (denota interesse la scelta di nomi che solevano avere come iniziale la lettera S, a mo’di rimando al suo cognome reale,  Schmitz ).

Il titolo del racconto allude ad uno scontro in campo amoroso: Arturo Marchetti, celebre poeta, e Ariodante Chigi, cultore dello sport, si contendono l’amore della bella Rosina che nell’epilogo deciderà di fuggire col secondo pretendente dopo che questi aveva percosso il povero poeta .

Dal punto di vista cronotopico Svevo ambienta la scena in una anonima città “N.”, contrariamente ai successivi scritti in cui Trieste assume la costante di sfondo, analizzata e contestualizzata in base alla trama da trattare. Nel racconto L’assassinio di via Belpoggio (1890) la città è il labirinto in cui Giorgio, dopo l’omicidio cerca di nascondersi e apparire inosservato.  Nel romanzo Una Vita (1892) Svevo annuncia il malessere del protagonista Alfonso Nitti che non riesce ad inserirsi nello sviluppo industriale del luogo.  In Senilità (1898) invece riscontriamo un ambiente che fa da sfondo alla tormentata storia amorosa tra Emilio e Angiolina, in cui l’autore svariate volte descrive dettagliatamente i luoghi dei loro incontri segreti;  nella Coscienza di Zeno (1923)  Trieste assume importanza sociale, è l’espressione della borghesia avanzante, degli affari e del commercio.

Il tempo del racconto non è ben scandito: dopo alcune visite nel salotto della fanciulla i due rivali si scontrano e lo sfortunato poeta, in seguito allo svenimento, si ritrova nella sua stanza dove apprenderà da alcune lettere la sua triste sconfitta.

Arturo è l’unico personaggio a tutto tondo e la vicenda è quasi totalmente esposta dalla sua ottica. Ariodante e Rosina invece sono focalizzati in maniera alquanto repentina.

Svevo definisce a grandi linee il loro aspetto fisico: Rosina era una “bella biondina” che camminava  un po’ curvata. Ci  appare come una figura marginalmente abbozzata e approfondita solo nel suo secondo romanzo con il personaggio di Angiolina; di Ariodante conosciamo solo le sue doti fisiche e la virile bellezza.

Arturo, “fornito di due occhi azzurri espressivi quanto la sua parola”, sviluppa nella lotta amorosa una mediazione del desiderio, di invidia narcisistica nei confronti del rivale (considerato paradossalmente inetto) che crede di poter sconfiggere con le sue consolidate doti intellettuali e una sorta di bramosia di possesso che gli faranno corteggiare e credere di amare una donna solo per la soddisfazione di legarla a sé, dimostrando una perdita di spontaneità dei sentimenti amorosi tipici della narrativa ottocentesca. Il possesso tanto agognato, infondato e illusorio non farà altro che collocarlo nel girone degli inetti che, sognatori e affabulatori, non sono capaci di creare un percorso vitale stabile da seguire e molti di loro avranno anche un triste epilogo: si pensi a Giorgio l’assassino di via Belpoggio che, credendo di far tacere il proprio senso morale, seminerà ovunque  prove della sua colpevolezza tanto da venir subito arrestato; Alfonso Nitti, incapace di integrarsi nella società triestina industriale e titubante nelle proprie decisioni amorose, si lascerà morire per annichilire un’esistenza da ignavo.

Tra dimensione onirica e realtà Arturo fonde la propria vita amorosa con la letteratura, presentandosi in maniera altamente bovaristica: è dal suo bagaglio culturale che idealizza e crea una donna da introdurre nella sua vita quale musa ispiratrice che in realtà non possiede doti artistiche, infatti così scrive Svevo: «questa donna sognata e sognata sua doveva essere un essere del tutto speciale e doveva avere una testina degna di portare la corona d’alloro che egli voleva applicarvi»; ma Rosina è una semplice fanciulla «che vive sola e che riceve liberamente uomini in casa». Subito dopo aver cristallizzato la perfezione della donna quale antica figura stilnovista , il poeta scivola nella sfera della mondanità pensando alla fanciulla come una giocattolo con cui divertirsi: « voglio almeno divertirmi; se trovo di meglio la lascio, altrimenti ne faccio il romanzo della mia vita» echeggiando i propositi di Emilio Brentani che, vivendo con mente senile un amore giovane, ma soprattutto frivolo e di poco conto con una donna di facili costumi, si lascia incatenare da un’inettitudine sfociante in gelosia e incapacità di adempiere ai propri doveri familiari.

L’espressione “scrivere il romanzo della mia vita” è quasi topico in Svevo : Alfonso Nitti tentò di vergare con la sua amata Annetta Maller un romanzo a quattro mani in cui avrebbe riversato le proprie vicende sentimentali, allo stesso modo tentò  di fare Emilio Brentani, ma il sentimento malato per Angiolina non gli permisero di portare a termine il progetto, così anche Zeno Cosini sotto la prescrizione del suo psicanalista scrisse  la sua “inattendibile” autobiografia.

L’approccio letterario di tutti questi personaggi  è indice di autobiografismo, infatti Svevo più volte dichiarò di non riuscire a pensare se non con la penna in mano. Ciò nonostante l’autore svilupperà sin da questo suo primo racconto una sorta di distacco con la sorte del protagonista adottando una narrazione non empatica.

La dimensione onirica del protagonista del racconto non fa altro che aumentare la gelosia nei confronti del rivale, tale tematica è fondamentale ancora una volta in Senilità, tanto che questo breve racconto sperimentale della narrativa sveviana rappresenta una sorta di cartone preparatorio per il secondo romanzo, un canovaccio in cui sintetizza temi che affronterà e perfezionerà solamente in seguito.

La lotta amorosa condotta da Arturo appare quasi unilaterale: assumendo un atteggiamento di sfida e ironico nei confronti di chi non può competere fisicamente, perderà nello scontro finale decisivo con Ariodante; ma in realtà Arturo sfida se stesso, le proprie convinzioni e, malato di attitudine onirica perde il vero contatto con la realtà degenerando conseguentemente da contemplatore in senso shopenaueriano a  inetto.

Alessandra Pappaterra 

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