ROMA – Le amministrazioni locali sono il primo varco di penetrazione delle mafie nella politica, ma la Commissione Parlamentare Antimafia non ha gli strumenti per verificare la “potabilità” tanto per prendere in prestito il termine utilizzato da Luigi Incarnato, di tutti i candidati ai consigli comunali. Al massimo potrà essere avviato un percorso di osservazione dei candidati nei comuni che sono stati sciolti per infiltrazioni mafiose. «La Commissione non dà patenti di candidabilità a nessuno» precisa Rosy Bindi che invita i partiti a darsi delle proprie regole di autoregolamentazione sul piano etico. Le precisazioni sono contenute nella Relazione sulla Trasparenza delle candidature in vista delle comunali del prossimo 5 giugno, approvata all’unanimità dalla Commissione. La scelta adottata è quella di porre sotto osservazione solo i comuni sciolti per mafia, quelli in commissariamento ordinario, dopo aver avuto una commissione d’accesso e i comuni che hanno avuto una commissione d’accesso negli ultimi tre anni, in sostanza 15 comuni in 5 regioni, tra i quali spicca Roma. Anche perché l’Antimafia non vuole «esporre il proprio lavoro – ha detto la Bindi – alle critiche ricevute un anno fa» e dunque, piuttosto che arrivare «in zona Cesarini, le relazioni non verranno pubblicate». E tuttavia due parlamentari calabresi, Ernesto Magorno, segretario del Pd in Calabria ed Enza Bruno Bossio Pd, hanno chiesto alla presidente dell’Antimafia che almeno per quanto riguarda la Calabria si sottopongano ad esame anche le liste che andranno al voto nei comuni capoluogo, Crotone e Cosenza.