«Rispetto il lavoro dei magistrati, ma Rende come Gomorra appare inverosimile». Sono parole del parlamentare calabrese del gruppo misto Franco Bruno. Il deputato ha usufruito di un permesso per incontrare Sandro Principe, agli arresti domiciliari dallo scorso mese di marzo con l’accusa di corruzione elettorale aggravata e concorso esterno in associazione per delinquere di stampo ‘ndranghetista. La misura cautelare scaturisce dalle indagini condotte dalla Direzione Distrettuale di Catanzaro. Secondo l’accusa vi sarebbe stato un “intreccio” politico/mafioso che consentì a Principe il rinnovo delle cariche istituzionali coperte nel consiglio comunale di Rende dal 1999 al 2011, nel consiglio provinciale di Cosenza del 2009 e nel consiglio regionale della Calabria del 2010. Tali cariche, secondo gli inquirenti, sono state favorite dal voto di scambio concesso dalle cosche locali Lanzino-Ruà di Cosenza. «Grazie alla disponibilità del magistrato incaricato ho avuto modo di incontrare Sandro Principe. È stato un incontro toccante. L’uomo è amareggiato. Addolorato per quanto gli accade. Fisicamente provato. Ma non piegato. Io non ho mai avuto una stretta frequentazione politica con Sandro Principe. Non provengo dalla sua stessa storia ma per un pezzo di strada abbiamo fatto parte della stessa coalizione e dello stesso partito. Poi io da quel partito sono andato via. Salvo alcune eccezioni non avvertivo di far parte di una comunità che esprimesse molta solidarietà al suo interno. Invece, conosco meglio Principe da cittadino dell’area urbana, da residente di Rende. Per questo sono incredulo – ha detto Franco Bruno – Come tutti aspetto il corso della giustizia. Aspetto il processo. Ma che Rende da modello positivo del Mezzogiorno sia diventata una delle Gomorre del sud non mi convince. Che Principe, così come gli altri amministratori coinvolti, siano degli “associati” della potentissima mafia calabrese mi risulta difficile solamente pensarlo. Vorrebbe dire – ha affermato il parlamentare calabrese – che in questi anni in cui sono stato alleato con lui, suo segretario di partito, uno di quelli che insieme a Loiero, Minniti e ai vertici nazionali lo hanno inserito nell’allora listino regionale, anche come simbolo degli amministratori locali costretti a subire quotidianamente violenze e intimidazioni in terra di Calabria, non ho capito niente. Non mi sono mai accorto di niente. Come tanti altri che adesso restano silenti. Così come di niente si sono accorti persino nella direzione nazionale del Pd. A me pare assai più probabile che ci fosse ben poco di cui accorgersi su questo versante. La giustizia – ha concluso Bruno – farà il suo corso. Ma credo e temo che questa volta le autorità preposte siano incappate in un errore. Ne sono dispiaciuto. Si tratta di inquirenti importanti, capaci, che svolgono un lavoro delicato e che hanno mostrato nel tempo le loro qualità. Per questo posso provare a dissentire sapendo di non intaccare affatto la loro autorevolezza e indipendenza. Ma se le notizie che apprendo della stampa sono veritiere, e ammesso che si tratti di fatti accaduti per come riportati, l’ipotesi che in una comunità come quella rendese che ha costruito nel tempo un gioiellino amministrativo e territoriale, che ha registrato negli anni investimenti costanti per svariate centinaia di milioni di euro, il rapporto con la ‘ndrangheta si sia concretizzato nella concessione della gestione di un bar mi sembra alquanto inverosimile. Così come poco verosimile mi sembra che la ‘ndrangheta, la più potente organizzazione criminale mondiale, quella che ha sostituito nei traffici illeciti cosa nostra, che tratta alla pari con i cartelli messicani e i narcos colombiani, con la mafia russa e l’alta finanza, quella che gestisce il riciclaggio e si infiltra nei grandi appalti, la ‘ndrangheta che ci raccontano De Raho e Gratteri si adoperi con tanto zelo solo per stabilire a Rende un rapporto pressoché costante di scambio di voti con la politica ottenendone in cambio solo qualche precario e mal pagato posto di spazzino. Purtroppo temo che non sia questa la mafia calabrese».