REGGIO CALABRIA – Chiara Rizzo racconterà la sua versione dei fatti sul caso Matacena, suo consorte, e lo farà nel carcere reggino di Arghillà dove la donna si trova da martedì sera, per l’interrogatorio di garanzia davanti al gip Olga Tarzia. La donna è in arresto con l’accusa di avere favorito la latitanza del marito Amedeo Matacena – condannato a 5 anni per concorso esterno in associazione mafiosa – e di averne schermato le società per sottrarle ad eventuali confische.
Sempre che non decida di avvalersi della facoltà di non rispondere, in attesa di essere sentita dai pm.
Se deciderà di rispondere, sono tante le domande che i pm hanno in serbo per Chiara Rizzo, a cominciare dai rapporti con Scajola, definito nell’ordinanza di custodia cautelare come completamente “asservito” alle necessità della donna. Ma perché lo era? L’ex ministro dell’Interno non era legato solo da vincoli di amicizia a Matacena ed alla moglie, ma, secondo l’ipotesi dell’accusa da cui nasce la richiesta di contestare l’aggravante della mafiosità, facevano parte, insieme agli altri arrestati, “di un’associazione segreta collegata alla ‘ndrangheta” che ha fornito un “qualificato contributo” al sistema delle cosche, diventando “terminale di un complesso sistema criminale”.
Un sistema finalizzato, tra l’altro, ad ottenere la candidatura di Scajola al Parlamento europeo, vista l’impossibilità di Matacena a farlo. Scajola, dunque, per i pm diventa “l’interlocutore destinato, in caso di elezione, ad operare” nella gestione e destinazione dei “finanziamenti”, dal momento che la ‘ndrangheta “ha necessità di disporre di parlamentari europei per canalizzare gli enormi flussi di denaro che derivano dai contributi gestiti in sede comunitaria”. Tutti interrogativi che Chiara Rizzo potrebbe adesso chiarire.