[#CiNerd] Solo: a Star Wars Story, la Recensione

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“Ho un brutto presentimento a riguardo”

Quasi ogni fan di Star Wars l’avrà pensato accomodandosi sulla poltroncina del cinema per vedere Solo: A Star Wars Story. Un presentimento che sembra aver scoraggiato molti, considerato il flop d’incassi.

Io, però, sono una fangirl e non mi sarei persa la nuova pellicola della saga per nulla al mondo. Anzi, ho trovato insopportabile la mancanza di fede di chi al film non ha dato neanche una possibilità. Solo: A Star Wars Story è il secondo spin-off della saga creata da George Lucas. Dopo un gioiellino di narrativa e regia come Rogue One, il compito di mantenere alto il livello qualitativo era arduo. Ed è stato reso più complesso dalle sfortunate vicende di produzione: parlo del cambio di regista in corsa e delle difficoltà recitative del protagonista che, diciamolo, aveva sulle spalle l’onore e l’onere di ridare vita a un personaggio reso iconico da un Harrison Ford, che ci piace così tanto perché non ci sono canaglie come lui nella nostra vita. Ma andiamo con ordine ad analizzare la pellicola.

LA TRAMA

Solo narra le spericolate avventure del contrabbandiere più famoso della galassia, tra i 18 e 24 anni, molto tempo prima dell’incontro con un giovane Luke Skywalker e Obi-Wan Kenobi nella rumorosa e affollata Cantina di Mos Eisley: 11 gli anni di distanza. L’intento della pellicola, come il trailer aveva annunciato, è quello di mostrarci gli scorci tanto amati della galassia lontana lontana da un altro punto di vista, quello outsider e malfamato di pericolosi predoni, contrabbandieri e cacciatori di taglie. Alcuni si sono chiesti: c’era davvero bisogno di aprire uno squarcio sulla back story di un personaggio ormai così radicato nell’immaginario collettivo dei fan, di vecchia data e non? Forse no, se questi scorci non sono in grado di mostrare qualcosa di credibile e ben costruito ma, d’altra parte, chi non si è mai chiesto quali fossero le origini di Han, quali e quante imprese avesse compiuto per diventare un fuorilegge, come avesse conosciuto il suo peloso co-pilota?

LA REGIA E IL  COMPARTO TECNICO

Il merito di Solo è il seguente: raccontarci ciò che avremmo voluto sapere. E ci riesce bene.

Per questa ragione, un plauso va anche al regista, quel Ron Howard che ha avuto l’ingrato compito di assumere la direzione della pellicola a riprese ormai iniziate, dopo il licenziamento dei due registi precedentemente scritturati. Nonostante le settimane di riprese aggiuntive e i conseguenti ritardi nella produzione, le sequenze del film sono ottime, dirette e montate alla perfezione, senza disturbanti scarti tra le diverse scene. Ron Howard compie il suo lavoro in maniera precisa e rispettosa. Agli spettatori più attenti non è sfuggita quella rete di citazioni e omaggi alla trilogia originale: in particolare, Solo svela un dettaglio de L’impero colpisce ancora, quando C-3PO esprime meraviglia per la singolare maniera di comunicare del Millennium Falcon. La regia di Howard non ricerca spettacolarità gratuita: è narrativamente pulita e lineare e alcune scene ne beneficiano, risultando di grande impatto visivo, come per l’iniziale inseguimento per le strade di Corellia e la mitica sequenza della rotta di Kessel. La sceneggiatura, di Lawrence Kasdan e figlio, è ben scritta, seppur prevedibile: la pellicola narra la storia della formazione di un giovane Han Solo che si avventura nei bassifondi della galassia per realizzare un sogno, quello di diventare un grande pilota. E come in ogni buona storia di formazione, e come il mito già ci ha insegnato, Han riuscirà in quest’obiettivo: chi, se non lui, ha pilotato la nave che ha fatto la rotta di Kessel in meno di 12 parsec lasciando indietro le navi stellari dell’impero?

Una pecca nella sceneggiatura è, però, la mancanza di un vero e proprio colpo di scena, di quel momento epico che possa dare un posto alla pellicola nella storia della saga, esattamente ciò che aveva fatto Rogue One. La storia, certo, era già scritta, ma i Kasdan non hanno osato, col rischio di stravolgere un percorso ormai fissato, preferendo concentrare l’attenzione sulla messa in scena di quei personaggi che assumono un ruolo determinante nel fare di Solo, quell’adorabile canaglia che tanto amiamo. Deludenti, invece, le musiche di John Powell: ancora una volta, viene ripresa la colonna sonora originale omaggiandola ma, trattandosi di un film stand-alone, ci si sarebbe aspettato qualcosa di più originale.

IL CAST

Quello che tutti temevano fosse una delle pecche della pellicola si è rivelato, invece, una sorpresa piacevole. Notevole la chimica tra gli attori nelle molte scene corali di Solo. Malgrado i problemi avuti con la recitazione e il rischio che la sua prima importante prova attoriale fallisse, considerato il peso iconico del suo predecessore, Alden Ehrenreich si è trovato a suo agio con il ruolo. Anzi, pur dando un’impronta personale al giovane Han, ha reso omaggio ad Harrison Ford, riprendendone le irriverenti caratteristiche espressive, nonché le pose nelle scene di combattimento con le armi. Buona la performance di Emilia Clarke, nei panni della coraggiosa Qi’ra, anche se in alcuni tratti sembrava di osservare una spietata Madre dei Draghi. Menzione speciale per Woody Harrelson per la sua interpretazione del mentore e fuorilegge Tobias Beckett, e a Paul Bettany, perfetto nel ruolo, seppur minuscolo, del perfido Dryden Vos. Plauso a Donald Glover per il suo audace, inaffidabile e scanzonato Lando Calrissian, uno dei personaggi senz’altro meglio riusciti e per il quale unico difetto è quello di un esiguo minutaggio on screen.

Di contro, non sono mancati un paio di personaggi simpatici come Jar Jar, ma meglio non spoilerare.

IN CONCLUSIONE

Solo: A Star Wars Story non è un capolavoro, non è L’impero colpisce ancora, ma… non vuole neanche esserlo.

Voi davvero vorreste vedere la copia di un film già visto? Lo scopo non è stupirci, ma raccontare cose che prima avremmo solo potuto immaginare o intuire, farci capire perché Han Solo è diventato Han Solo. La pellicola si svolge in crescendo: la prima parte scorre piana, quasi non sembra di guardare un film di Star Wars, ma un comune film di fantascienza, non ci sono Jedi o spade laser, la Forza non scorre potente. Poi, il ritmo accelera vertiginoso e a bordo di un Millennium Falcon tirato a lucido come non mai, siamo catapultati su Kessel, tra uno Star Destroyer imperiale e l’Alleanza Ribelle allo stato embrionale, tra una partita a Sabacc e l’altra, su quella stessa nave insieme ad Han e al suo fedele amico Chewbecca, nel mezzo di un’amicizia che nasce dall’aver salva la vita insieme.

E, sul finale, l’inaspettato: Solo non si conclude sul serio, lascia uno spiraglio aperto per qualcosa che potrà ancora accadere. Forse che il successo del MCU abbia influenzato un franchise come quello di Star Wars?
Com’era il detto? Tutto fa brod…no, tutto fa Disney. In ogni caso, questo finale – non finale che pone le basi per un sequel, rende omaggio alle serie animate dell’universo espanso, in particolare The Clone Wars.

Allora, niente smancerie e guardate il film. Vale la pena allacciare le cinture per un salto nell’iperspazio piacevole e scanzonato e, dopo un po’, verrà facile dire: «Chewbe, siamo a casa».

Voto: 7+

Francesca Belsito

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