[#CiNerd] IT, la recensione

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Atteso da milioni di fan, l’adattamento cinematografico di uno dei romanzi più famosi al mondo è già campione di incassi e 1° in classifica al Box Office in Italia.

C’era da aspettarselo, in tanti erano e sono curiosi di vedere se Andy Muschietti è riuscito a vincere la sfida con una delle storie più complesse di Stephen King, in cui amicizia, amore e paura si fondono in una spirale perfetta.

 

“ANCHE VOI GALLEGGERETE”

IT – LA TRAMA

Siamo nel Maine e precisamente nella contea di Derry nell’Anno del Signore 1988. Il piccolo Georgie, nell’ormai famoso impermeabile giallo, esce di casa in una giornata di pioggia torrenziale per giocare con una barchetta di carta appena fabbricata dal fratello Billy, costretto a letto da un’influenza. Georgie lascia che la sua preziosa barchetta segua i piccoli torrenti creati dalla pioggia finché non finisce in un tombino. Georgie prova a prenderla e…il resto è storia, tutti noi sappiamo che la vicenda non finisce nel migliore dei modi e da quell’episodio sembra che qualcosa sia “tornato” a Derry per sterminare bambini e ragazzi. È il mostruoso pagliaccio Pennywise (Bill Skarsgård), il Male per eccellenza, in grado di trasformarsi nella paura di chi gli è di fronte. E il Male torna ogni 27 anni nella cittadina di Derry, quasi cadesse in un lungo letargo per poi svegliarsi più spietato e affamato di prima. Ma questa volta le cose andranno in modo diverso, a contrastare il pagliaccio assassino ci sarà il Club dei Perdenti, una banda di sgangherati ragazzini perseguitati dai bulli, ma uniti da un profondo senso di amicizia destinato a consolidarsi sempre di più.

IL COMMENTO

Iniziamo subito col dire che girare un film tratto da un libro è molto difficile, è molto complesso rendere tutto quello che la carta stampata offre alla mente di chi legge.

Nel caso di IT la sfida è a dir poco impossibile: un film, anche se diviso in due parti di 2 ore, non sarà mai in grado di restituire al pubblico una versione totalmente dignitosa delle oltre 1000 pagine del romanzo (nota: perché non trarne una serie tv?). Ma tant’è, Andy Muschietti ci ha provato, non ha completamente fallito, ma nemmeno centrato appieno l’obiettivo.

 

La versione “moderna” di IT, come quella storica del 1990, è ambientata negli anni ’80 e non nei favolosi ’50, epoca dell’infanzia dello stesso Stephen King. Scelta dettata dallo scopo di offrire agli spettatori dei personaggi più vicini al loro vissuto, oltre che alla loro epoca, ma forse anche spinta dall’ondata di nostalgia per gli anni’80 che più o meno ritroviamo un po’ ovunque, come nel fenomeno Stranger Things. E in effetti il lavoro di Muschietti a livello di fotografia non si discosta troppo dall’acclamata serie targata Netflix, complice anche la presenza di Finn Wolfhard nei panni dell’eccentrico e irriverente Richie Tozier, personaggio azzeccato, forse anche troppo, tanto da mettere in secondo piano il vero protagonista della vicenda, cioè Billy. Jaeden Lieberher ha fatto un ottimo lavoro ma, comunque, rimane un po’ in disparte, schiacciato anche da Sophia Lillis, fantastica interprete di Beverly Marsh e, a sorpresa, da Jeremy Ray, il goffo e tenero Ben. Un po’ messi all’angolo anche Stan, Eddie e Mike, interpretati rispettivamente da Wyatt Olef , Jack Dylan Grazer e Chosen Jacobs, dei quali però abbiamo avuto modo di vedere alcuni aspetti interessanti, come il rapporto di Eddie con la madre.

 

A proposito di caratterizzazione, quello che manca a questo “nuovo” IT, è proprio un reale approfondimento dei personaggi e del loro vissuto. Non che in due ore ci si potesse aspettare di meglio, però il romanzo di King gira tutto intorno alle paure dei Perdenti e non aver descritto, o peggio l’averne inventato (!), alcune delle fobie è stata veramente un’occasione persa: in questo modo il film non ha trasmesso appieno quel senso di ansia, di terrore o meglio quel senso di “non so cosa sia ma so che c’è” che è proprio l’essenza di tutta la storia. Non ha trasmesso neanche l’idea di fondo che a Derry siano tutti un più inclini alla cattiveria, proprio a causa della presenza di IT: ne è un esempio il personaggio di Patrick Hocksetter che, da psicopatico (se non avete letto il libro, fatelo e vi renderete conto), viene ridotto a “semplice” bulletto di quartiere con il vizio di usare una bomboletta spray e un accendino per provocare delle fiammate.

Non aver caratterizzato fino in fondo i personaggi ha lasciato all’angolo anche un altro aspetto fondamentale: l’amicizia tra i protagonisti.
Un po’ come la diga dei Barren, che i Perdenti costruiscono insieme giorno per giorno, anche il loro legame è qualcosa che va in crescendo a mano mano che si prosegue con la storia e piano piano prende forma e si fortifica.

 

Ovviamente non tutto è perduto e la pellicola si salva sia perché regala comunque quei momenti di sana adrenalina.

Soprattutto per la presenza del bravissimo Bill Skarsgård che, seppur pressato dal confronto con l’indimenticato Pennywise di Tim Curry, è stato in grado di calarsi nei panni del pagliaccio ballerino, destreggiandosi in modo ottimo tra espressioni e sguardi (lui stesso ha dichiarato di non aver dormito per molte notti durante le riprese del film a causa di un’immersione nel personaggio fin troppo profonda). Certo, a tratti il pagliaccio scade più nella comicità che non nell’orrore, ma d’altronde che c’è di più pauroso  di una cosa spaventosamente ridicola che attira con l’inganno dell’ironia e ti divora con la spietatezza della follia?

Piccola nota sulla versione italiana: a mio avviso il doppiaggio è veramente pessimo, soprattutto per quanto riguardo il Club dei Perdenti!

Insomma, attendiamo con ansia la seconda parte, in uscita fra 2 anni nel 2019, che riguarderà i Perdenti ormai cresciuti, 27 anni dopo, nuovamente alle prese con IT. Seppure con le sue mancanze e le sue omissioni, il lavoro di Muschietti vale la pena di essere visto perché in parte è riuscito a restituire in modo dignitoso uno dei capolavori di Stephen King.

Noemi Antonini

 

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